di Vito Castagna
Caro Enrico,
ti scrivo questa lettera, ovunque tu sia. Sono passati tre anni dall’ultima volta che ti ho visto, eppure ricordo bene quando partisti. Faceva caldo e mi ero messa quel vestito blu che mi avevi regalato quando ci fidanzammo, mentre tu, corpo magro e nodoso, avevi la camicia madida di sudore e la fronte imperlata. Avevi tagliato i capelli il giorno prima e sembravi un istrice. Non so se fosse dovuto per il cupo dolore del distacco o per l’ebrezza dell’avventura. Ricordo bene che quando appoggiai il volto sul tuo petto, com’eravamo soliti fare, sentii i battiti elettrizzati del tuo cuore e sperai con tutta me stessa che la tua fosse paura. Sì, un timore ingenuo che ti avrebbe protetto dalla tua cieca irruenza, schermato i proiettili dalla tua carne, salvato le tue ossa dalle panciute granate.
Dopo avermi affidato la tua bicicletta, mi salutasti come se ci dovessimo vedere il giorno dopo. Non ti abbracciai per non rendere il distacco ancora più insopportabile ma trattenni il respiro quando le tue labbra umide toccarono la mia guancia. Chiusi gli occhi per inglobare il tuo respiro dentro di me.
Mentre le ruote ferrate stridevano sempre più veementi contro le rotaie, provai una vertigine che mi fece perdere la bici. Quella cadde causando un tonfo profondo che ruppe il groviglio dei sentimenti malcerti degli astanti. La folla si diresse precipitosamente fuori dalla stazione, come se tutti avessero dimenticato affari ben più importanti, ma una donna anziana si fermò e con gran fatica mi porse la bici. Nessuna delle due parlò, anche se dai suoi occhi capii che ebbe pietà di me.
Tornai a casa lentamente, a dispetto di tutti, e bestemmiai il nostro Duce ad ogni passo. Come poteva quell’uomo, che tanto avevi amato, farti questo? Io, lo so. Tu, come tanti altri, lo idolatravi per pigrizia, lo amavi perché ti prometteva quello che non avevi mai avuto. Eri irruento, tu idolatravi le voci potenti, i motti vuoti, le pompose farse, la virilità miserabile. Enrico, non meritavi di andare in Russia! Nessuno lo meritava! Eppure, siete stati costretti a seguire il carro funebre di Hitler partecipando ad una macabra danza di morti e dispersi, inutile come non mai, ingiusta come la Storia che ci calpesta come formiche. Voi eravate innocenti.
E io scrivo per non dimenticare la forma del tuo viso e il suono della tua voce.
Sempre tua
Elsa
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scritto molto intenso