L’identità femminile, tra lotta per l’uguaglianza e coscienza di genere, si pone come stile di pensiero alternativo con cui la cultura dominante occidentale è obbligata a confrontarsi.
di Giusi Pizzo
“Si è detto: le donne ragionano col cuore, certo non col cervello.” (F. Rigotti)
Le donne italiane elette alla Costituente, il 2 giugno del 1946, furono 21: le comuniste Rita Montagnana e Teresa Noce, insieme alla democristiana Laura Bianchini, coloro che ottennero i più alti voti di preferenza. E poi Lina, Adele, Nilde e le altre. Non solo donne laureate, ma anche ex operaie, partigiane, casalinghe, alcune erano state in carcere, qualcun’altra deportata in Germania; altre condivideranno l’impegno politico con il marito.
Per la prima volta, in Italia, le donne parlano di libertà di stampa, di politica estera, di economia, d’istruzione, di famiglia, di diritti e lo fanno pubblicamente dentro l’Assemblea Costituente, fucina della Costituzione. Discutono e si scontrano con i pregiudizi di chi, come G. Leone, futuro presidente della Repubblica, afferma che alle donne è precluso l’accesso alla magistratura, essendo naturalmente emotive e, dunque, poco inclini a giudicare con equilibrio.
Il viaggio delle donne è impervio, costellato di lotte e contraddizioni, segnato dal millenario rifiuto di accordare loro la prerogativa del pensiero logico. Chi non ricorda la storia del filo di Arianna, grazie al quale Teseo trova l’uscita dal labirinto? Qualcuno, parlando di “paradosso di Arianna”, ha inteso quel filo come il filo del pensiero, il logos che alle donne è stato lungamente negato.
Oggi Teseo restituisce il filo ad Arianna e la donna, deposto il filo di lana, tesse “la trama vivente dell’essere” (M.T. Tymieniecka), un tessuto che non è il banale intreccio di fibre ma, nella travagliata pienezza dell’esistere, una dimensione in cui lavorare, dare al mondo, narrare, partecipare, prendersi cura. Uno spazio conquistato, dentro il quale si può non rinunciare a quella voce differente, a quel pensiero ‘altro’ che pensa non solo per dialettiche e che Martha Nussbaum chiama “intelligenza delle emozioni”: razionalità non amputata, empaticamente connessa alla comprensione della natura umana, dentro l’apertura dialogica verso il mondo dell’altro.
Lungo e affascinante è questo viaggio. Riafferrando il capo del filo, Rita, Teresa e le altre donne di una luminosa pagina della storia, hanno tessuto la trama preziosa di quella che è solo una tappa del viaggio. Quanto cammino resta da fare?
Giusi Pizzo, (Ragusa, 1968) è docente di Filosofia e Storia presso l’I.I.S “G.B. Vico- Umberto I- R. Gagliardi” di Ragusa