di Miriana Iacono
Appare ormai assodato che le nostre spiagge sono state invase dalla plastica, soprattutto nella nostra provincia, e le strade non di rado trasformate in discariche a cielo aperto. Una tristezza infinita.
Ogni anno lo stesso scenario. Aree di soste come pattumiere contenenti rifiuti di tutti i tipi, non solo residui organici di utilizzo domestico, ma soprattutto materiali impiegati per l’agricoltura che risultano pericolosi e nocivi, oltre a sporcare l’immagine e la reputazione della nostra terra.

Tra un paio d’anni quando i bambini in spiaggia scaveranno le loro buche troveranno piccole palline bianche o colorate. E correndo entusiasti ad annunciare la loro preziosa scoperta di chissà quali uova di pesce sconosciuto, rimarranno molto delusi dall’apprendere la verità. Frammenti di microplastiche, altro che uova. Il mostro dell’inquinamento rischia di compromettere non solo la vita della flora marina, ma anche la fantasia dei nostri stessi bambini, restituendoli alla crudele realtà.

Nel 2019 National Geographic ha postato sul web la foto del famoso fotografo Justin Hofman che scosse la nostra sensibilità diventando virale: un cavalluccio marino aggrappato ad un “cotton fioc” che nuotava tranquillamente nelle acque dell’Indonesia.

La stessa WWF denuncia da tempo i dati allarmanti dello stato del “mare nostrum”. L’80% dei nostri rifiuti plastici finisce in mare e spinti dalle correnti, tornano sulle coste: 5 kg di plastica al giorno per ogni metro quadrato di litorale. Considerando che le acque del Mediterraneo rappresentano solo l’1% delle acque del pianeta, ma contengono il 7% delle microplastiche marine, dovremmo fermarci a riflettere sul nostro modello di comportamento.

Tra l’altro proprio nel Mediterraneo, tra l’isola d’Elba e la Corsica, è già presente (e gravemente impattante) un’isola di plastica lunga circa una decina di km. Se rimarremo con le mani in mano tra qualche anno rischierà di diventare una sorta di ponte degli orrori che collegherà le due isole.

Cosa fare? Fortunatamente esistono realtà associative di volontari come “Ragusa Attiva” o “Puliamo Chiaramonte” che nel nostro territorio raccolgono spazzatura dalle aree inquinate. E’ un grande atto di civiltà, ma non basta. Possiamo renderlo ancora più grande.
Prendiamo l’esempio di una grande azienda come Adidas. Nel 2017 la multinazionale tedesca ha lanciato sul mercato una nuova linea di scarpe fatte per il 75% da elementi plastici sottratti all’ambiente. Una mission rivoluzionaria, questa, al passo con i tempi e di forte impatto ecologico. Sono riusciti infatti a vendere 6 milioni di sneakers.

Rimanendo in tema, non solo Adidas, ma anche “Id.Eight” ha raccolto la sfida. Si tratta di un brand italiano che progetta scarpe utilizzando materiali derivati da sottoprodotti delle attività agricole: foglie di scarto dell’ananas, scarti da aziende vinicole e bucce di mele. Materiale che serve a creare diversi componenti delle scarpe (tomaia, suola, lacci), ma anche etichette e packaging ecologici. Miscelata a questi elementi c’è anche una percentuale di plastica: nelle suole è presente circa il 30% di gomma riciclata.

Dunque, AAA cercasi sensibilità e aziende per questa importante mission! Il mio vuole essere un invito per raccogliere rifiuti da differenziare su tutto il territorio provinciale per donargli una seconda vita. In primis ai materiali plastici.
L’obiettivo è ambizioso, ma se riusciamo a creare una rete di collaborazioni insieme ad aziende interessate possiamo farcela.
