Con il presente articolo inizia la collaborazione con Paolo Monello, grande appassionato ed esperto di storia locale. Oggetto del suo intervento, strutturato in più articoli, saranno alcuni documenti in lingua spagnola provenienti dall’Archivio Generale della città di Simancas, in Spagna, nel periodo compreso tra il 1691 e il 1694. Ovvero gli anni della tragedia del terremoto del 1693 che devastò l’intero Val di Noto.
di Paolo Monello
È mia intenzione soffermarmi su alcuni documenti in spagnolo pervenutimi dall’Archivio Generale di Simancas e contenuti nella corrispondenza tra il Viceré Duca d’Uzeda e il Consiglio d’Italia a Madrid nel periodo 1691-1694, anni difficili, resi ancor più difficili dalla catastrofe sismica del gennaio 1693 e dalla continuazione dei terremoti fino a 1694 inoltrato. Avendo già parlato delle carte relative al terremoto, vorrei limitarmi a trattare del contenuto di alcune delle lettere del Viceré. Ma prima è utile spiegare come mai io mi trovi in possesso di una gran quantità di documenti relativi a quell’epoca.

Avendo una vera e propria passione per la storia, durante le mie visite in Spagna – tra il 1985 ed il 1990- per la ricerca delle spoglie di Vittoria Colonna (1558-1633) fondatrice della città di Vittoria, ebbi l’occasione di visitare il castello di Simancas, nei dintorni di Medina de Rioseco ed a 10 km da Valladolid. Accompagnati dal Vice Console Onorario d’Italia a Valladolid dr. Francesco Scrimieri, fummo gentilmente accolti dalla direttrice dell’Archivio, ubicato in un castello ceduto dagli Enriquez Almiranti di Castiglia nel 1480 (lo stesso anno delle nozze concordate tra Federico Enriquez e Anna Cabrera contessa di Modica) ai Re Cattolici.

Avevo letto dell’immenso Archivo General de Simancas nella «Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II» dello storico Fernand Braudel, e poter visitare quell’edificio mi emozionò parecchio. La direttrice – conosciuti i miei interessi – mi fece dono di due volumi: il primo contenente la «Guia del investigador» (sulla storia dell’Archivio ed il suo contenuto) ed il secondo sulla documentazione del Consejo de Estado relativa alla Sicilia come viceregno spagnolo.

Conclusa felicemente la vicenda con l’accordo sulle spoglie della fondatrice di Vittoria, che furono “condivise” tra il luogo della sua sepoltura (la chiesa di San Francesco a Medina) e la basilica di San Giovanni Battista (in una nicchia scavata nella parete della Cappella del Sacro Cuore), nel corso dei mesi successivi a poco a poco, servendomi dei due volumi, cominciai ad ordinare microfilm di interi legajos (fascicoli, poi da me fatti stampare) relativi soprattutto al viceregno di Marcantonio Colonna (1577-1584) e poi numerosi altri relativi al terremoto del 1693.
Di queste fonti ho utilizzato in parte quelle relative al terremoto, mentre le altre non ho mai avuto il tempo per esaminarle fino ad oggi. Dei documenti sul terremoto del 1693, possiedo quindi in copia – ed in trascrizione – le carte inviate dal Viceré don Juan Francisco Pacheco Conte di Montalban e Duca di Uzeda (1649-1718), viceré di Sicilia dal 1687 al 1696 (quindi per tre mandati di seguito), morto in esilio a Vienna, dopo aver rifiutato di riconoscere la successione francese alla morte di Carlo II nel novembre 1700 ed essersi schierato col pretendente della famiglia Asburgo, il futuro imperatore Carlo VI d’Austria (padre della più nota imperatrice Maria Teresa), contro Filippo V.
Il Duca di Uzeda fece la stessa scelta del conte di Modica ed ultimo Almirante di Castiglia Juan Tomas Enriquez Cabrera, che fuggì in Portogallo nel 1702: dopo aver combattuto per decenni contro la Francia di Luigi XIV come potevano accettare che suo nipote sedesse sul trono di Spagna? Nelle lettere a Madrid del Duca, il nemico francese è onnipresente e mai come dopo la catastrofe del gennaio 1693 la Sicilia si trovò indifesa e le sue coste aperte alle incursioni nemiche.

Non solo infatti la flotta di sei galere siciliane era in disarmo, ma il terremoto aveva distrutto le fortezze maggiori di Siracusa ed Augusta, con molte altre gravemente danneggiate in circa sessanta tra città e paesi devastati, con migliaia di morti rimasti sotto le macerie, con il timore dello scoppio di epidemie e l’incombente presenza della Montagna, il Mongibello che però, quando si manifestava con eruzioni mai viste e nubi immense di fumo e cenere, in qualche modo “rassicurava”; invece quando il vulcano taceva era cattivo segno: infatti, ritenendo la scienza dell’epoca il terremoto causato dal Mongibello, più questo si sfogava meno pericolo c’era.

Come dicevo, da Simancas mi è pervenuta la corrispondenza tra il viceré e due Ministeri: il Consiglio di Stato (Consejo de Estado) ed il Consiglio d’Italia (Consejo de Italia): entrambi competenti ad esaminare l’attività del Viceré, trasmettendo al re il loro parere perché il sovrano decidesse cosa fare. Non è questa la sede ovviamente (né ne avrei la competenza) per parlare del sistema dei Consigli con cui si reggeva l’Impero spagnolo, un sistema che nel corso dei decenni, dai re Cattolici a Carlo V ed a Filippo II si era sempre più perfezionato.
L’amministrazione centrale dello Stato spagnolo (di cui la Sicilia faceva parte), era composta dal Consiglio Reale, dal Consiglio di Stato, dal Consiglio dell’Inquisizione, dal Consiglio dell’Amministrazione finanziaria e poi, man mano che l’Impero si era ingrandito, dal Consiglio d’Aragona erano stati scorporati i possedimenti italiani, con la creazione del Supremo Consiglio d’Italia (1555), dal Consiglio delle Fiandre (1555), cui in seguito si aggiunse quello delle Indie etc.

Il Consiglio d’Italia era composto da un presidente (scelto nell’ambito dell’alta nobiltà spagnola) e da sei reggenti: due per il Regno di Sicilia, due per il Regno di Napoli e due per il Ducato di Milano. Dei due reggenti di ciascun territorio uno era spagnolo, l’altro italiano, nativo del territorio stesso, entrambi laureati in utroque iure (tanto in diritto canonico quanto in diritto civile). La struttura era completata da tre segretari (uno per ciascun possedimento), un avvocato fiscale (a tutela degli interessi dello stato), e un conservatore generale del Patrimonio, che vigilava sulla gestione patrimoniale dei domini.

Per mantenere i due reggenti siciliani a Madrid, nel 1609 fu introdotto dal Parlamento il 10° donativo, di 2000 ducati l’anno (pari a scudi siciliani 2500, equivalenti ad onze 1000). Il Consiglio d’Italia si occupava di tutti gli affari di stato e di giustizia riguardanti i domini italiani; proponeva al Consiglio di Stato, presieduto dal Re, la nomina dei Viceré di Sicilia, dei Viceré di Napoli e del Governatore del Ducato di Milano e si pronunciava sulle più importanti nomine civili e militari proposte da costoro. Le sue funzioni erano unicamente consultive: il parere era riportato in un documento (consulta), redatto dal segretario, che veniva poi sottoposto al sovrano, il quale vi annotava la propria decisione; se il parere non era unanime, venivano riportati i diversi pareri emersi durante la discussione.

Dal Consiglio d’Italia, allora composta dal marchese di Villafranca (Presidente) e dai reggenti don Alonso de Guzman, don Pedro Guerrero, don Antonio Jurado, dal Conte di Bornos, da don Diego Iñiguez e da don Genaro de Andrea, il 23 marzo 1693 furono esaminate le prime lettere spedite da Palermo il 22 gennaio ed il 5 febbraio 1693 dal viceré Duca di Uzeda su quanto era accaduto nel Regno il 9 e 11 gennaio 1693.
Paolo Monello, classe 1953, ha studiato Lettere Classiche all’Università di Catania. Sindaco di Vittoria dal 1984 al 1987, Deputato nazionale dal 1987 al 1994 e sindacalista della Cgil dal 1995 al 2007. Si è interessato soprattutto della storia di Vittoria e del suo territorio (utilizzando i riveli inediti del 1616-1816). Recentemente ha scritto una biografia dell’avv. Rosario Cancellieri (1825-1896), Deputato e poi Senatore del Regno d’Italia dal 1865 al 1896, nonché sindaco di Vittoria dal 1879 al 1882