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“Prima di parlare domandati se ciò che dirai corrisponde a verità, se non provoca male a qualcuno, se è utile, ed infine se vale la pena turbare il silenzio per ciò che vuoi dire.”
(Buddha)

di Marinella Calabrese 

Oggi che i social hanno ‘dato diritto di parola a legioni di imbecilli’ – citando Umberto Eco – e ogni giorno leggiamo decine di notizie e, soprattutto, di commenti (sul covid, ma anche su tante altre questioni di attualità), viene da chiedersi se esprimere un qualunque parere sia una legittima forma di libertà o uno spreco di tempo per chi scrive e per chi ha la sfortuna di leggere.

È davvero necessario esprimere un’opinione, soprattutto su fatti o questioni di cui si sa poco o nulla?

Non sarebbe più corretto che su questioni specifiche si esprimessero gli esperti del settore?

Alla base di queste considerazioni ci sarebbe una questione filosofica più complessa: conta di più la visione soggettivistica centrata sul singolo individuo e sulla centralità dell’uomo come misura delle cose (Protagora) o quella basata sui dati oggettivi della realtà che prescindono dalla visione del singolo?

Se da un lato sembrerebbe prevalere la cultura specialistica e il valore dei pareri degli esperti, soprattutto su questioni tecniche specifiche, oggi più che mai, si fa spazio la libertà espressiva di chi manifesta la propria opinione elevandola a un giudizio quasi universale o, peggio, fa proclami più o meno plateali basandosi su competenze inesistenti e, ancor peggio, mutando il proprio punto di vista con ritmo giornaliero.

È la vittoria di un relativismo democratico che porta ad un pluralismo di opinioni o solo una sovrapposizione di voci che diventato urla incomprensibili?

La comunicazione di questi tempi è un affare complicato: non sappiamo ascoltare ma spesso i contenuti che vogliamo esprimere sono confusi e, ancor peggio, spacciati per oggettivi quando solo frutto solo della nostra personalissima visione del mondo.

Credo che potremmo sintetizzare la questione con un detto popolare: “Portare acqua al proprio mulino” che in questo contesto potremmo tradurre come la tendenza ad affermare qualcosa che rafforzi la propria visione del mondo e confermi il valore di scelte e stili di vita.

Insomma, spesso affermiamo qualcosa e prendiamo posizioni solo per non entrare in crisi, per non mettere in discussione la nostra vita senza badare al valore o alle conseguenze di quello che stiamo affermando. In questi casi difficilmente può nascere un dialogo ma solo una sequenza di affermazioni perentorie che alla fine rafforzano di più le visioni individuali.

E allora – molto spesso – non sarebbe più semplice e più utile, provare a tacere?

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1 Comment

  1. Daniela Russo Reply

    Complimenti per le tue abilità giornalistiche e per aver interpretato attraverso le tue profonde riflessioni, i sentimenti di un collettivo “pensante”.

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