ovvero
NOSTRADAMUS 2.0
di Giulia Cultrera
Smartphone, tablet, computer e televisori sono parte integrante della nostra quotidianità. Una volta spenti, ciò che rimane è uno schermo nero che riflette la nostra immagine. Un black mirror, per l’appunto.
E se lo schermo si rompesse mostrando scenari preoccupanti in cui la pervasività tecnologica si spinge oltre il punto di non ritorno?
Black mirror ci trasporta in un mondo popolato da assistenti virtuali, cloni e congegni impiantati nel cervello, in cui la realtà aumentata raggiunge livelli impensabili di interazione. La società è quasi sempre assoggettata a queste nuove tecnologie: dapprima affascinata dalla comodità e facilità d’utilizzo, solo successivamente intrappolata in un vortice da cui risulta impossibile liberarsi.
Ogni episodio presenta trama, ambientazione e personaggi differenti. Unici elementi in comune, l’uso improprio di questi dispositivi avveniristici nella vita di tutti i giorni, e gli esiti, spesso imprevedibili, che ne conseguono.
Fantascienza distopica o possibile scenario futuro? Black mirror non si distacca troppo dalla realtà, anzi porta all’estremo alcune dinamiche già interiorizzate dalla nostra comunità: la spettacolarizzazione del dolore e della morte, l’importanza delle persone basata sul livello di popolarità e sui like ricevuti, l’alienazione causata dai social e dai dispositivi digitali.
In alcuni casi, arriva addirittura a confrontarsi con fatti di cronaca reale che si discostano poco dalla trama degli episodi.
La serie è, allo stesso tempo, monito agli usi pericolosi della tecnologia e istantanea di una società senza tempo, ingabbiata nel sistema (politico, sociale, tecnologico) vigente. Spesso, si tratta di una parte della società scagliata contro l’altra: uomini contro uomini, razze contro razze, vittime che diventano carnefici e viceversa. Un’inarrestabile deriva della società e dell’individuo nel tentativo di sovvertire il sistema.
A tutto questo si aggiunge un’aggravante: la vita delle persone è determinata da algoritmi che fanno leva sulle loro insicurezze e debolezze. Nulla di nuovo, dunque, riproposto soltanto in chiave più tecnologica e aberrante.