La seconda e ultima parte della nostra pagina di storia del calcio chiaramontano inizia e termina nel decennio degli anni ’60. Tratto dal racconto di Giovanni Catania su “Senzatempo” vol. 3, edito nel 2010, vuole essere non soltanto un racconto attinente le gesta sportive e lo sport più popolare di un paesino, ma una storia di costume all’insegna di una convivialità e di uno “stare insieme” di cui oggi si è perduta quasi ogni traccia. Un “piccolo mondo antico” dove vivevamo tutti più felici ma non lo sapevamo.
di Redazione
Gli anni ’60 furono caratterizzati da un maggiore benessere diffuso che contribuì all’acquisto degli apparecchi televisivi nelle famiglie italiane. Nel mondo del Calcio si assistette, invece, alla nascita di alcune squadre-mito con le loro stupefacenti vittorie nei tornei continentali e intercontinentali: dal Real Madrid di Di Stefano all’Inter di Herrera e al Milan di Rocco. Così la popolarità del calcio finì per oscurare quella di qualsiasi altro sport, facendo da sfondo al “boom” che scosse l’economia e la società in quegli anni. Mentre la “Domenica Sportiva” e “Lascia o Raddoppia” di Mike Buongiorno diventavano le trasmissioni televisive più amate e seguite dagli italiani.

Nel territorio ibleo già si organizzavano tornei intercittadini come la “Coppa Monte Lauro” e la “Coppa Monsignor Pennisi”. Quest’ultima si giocava a Ragusa sul campo Enal (non ancora circondato dal muro di cinta) caratterizzato da un fondo durissimo di terra bianca che ad ogni incontro mieteva diverse vittime per infortunio. I tanti tifosi si assiepavano lungo la rete di recinzione del terreno di gioco, a strettissimo contatto con i giocatori, e la partita molto spesso diventava una vera battaglia senza esclusione di colpi, con il pubblico che incitava la propria squadra all’aggressione fisica degli avversari e in particolar modo dell’arbitro.
Si svolgeva solitamente a inizio estate, quando i tornei ufficiali erano già terminati e prima delle vacanze estive. Era una preziosa vetrina per i numerosi talenti che riuscivano a dare spettacolo in un campo ai limiti della praticabilità, spesso riuscendo a fare anche giocate notevoli con le scarpe non sempre della propria misura (non di rado si giocava con scarpe a prestito). E nonostante il trofeo fosse intitolato ad un venerato Vescovo, si bestemmiava senza risparmio sia in campo che fuori, compreso nei commenti del dopo-partita.

Erano i tempi di Vittorio Modica, vera e propria diga invalicabile in difesa, di Vittorio Alescio, portiere di scuola catanese (aveva studiato ad Acireale), sinonimo di classe e sicurezza, di Giovanni Buscema, punta e fantasista dotato di grande velocità e ottimo tiro, di Salvatore Scribano, roccioso difensore, di Giovanni Morando, l’ala sinistra per antonomasia, di Paolo Calabrese, il Bettega dell’epoca, di Giovanni D’Amato, centravanti di sfondamento, di Vito La Terra, uno dei temibili “brasiliani”: tocco fine, classe e ironia e, infine, dell’inossidabile Paolo Morando, una vita da mediano a tutto campo (Altri li ritroverete nelle foto a corredo).
La nostra “Domenica Sportiva” in versione paesana andava in onda di lunedì, tipicamente in piazza Duomo, seduti all’ombra e vicino alla sala dei primi flipper e dei “bigliardini” (calcio balilla) di don Vincenzo (rigorosamente lato bar Italia).

Giovani e meno giovani stavano ad ascoltare i racconti dei loro beniamini sportivi tra un sorso di gazzosa e una leccata di gelato. Così si raccontava di goal evitati perché qualcuno aveva abbassato, di soppiatto, i pantaloncini all’attaccante avversario o per averlo intimorito con astute minacce grazie alla propria prestanza fisica. Oppure, ancora, delle furbizie del chiodo che il portiere conservava di nascosto da inizio partita e che tirava fuori, eventualmente, a partita ormai irrimediabilmente compromessa per far fuori l’unico pallone disponibile.
Come avveniva il giochetto disonesto? Si aspettava che la palla varcasse la linea di fondo e il portiere, nel recuperarla, provvedeva con mano lesta a bucare il pallone, per poi liberarsi immediatamente del “corpo del reato”. Il pallone si sarebbe ovviamente afflosciato dopo pochi secondi. Così nell’impossibilità di continuare la partita senza pallone di riserva, il povero arbitro era costretto a sospendere e rinviare l’incontro tra le bestemmie della squadra prossima alla vittoria e la soddisfazione malcelata di quella prossima alla sconfitta.

Altra curiosità riguardava l’attrezzatura tipica dei giocatori della squadra che rappresentava la città. In mancanza di una divisa ufficiale, almeno i borsoni sportivi della squadra, nei tornei forestieri, erano uguali per tutti. Si trattava di una pesante valigia in legno poco pratica e molto scomoda. Venivano costruite artigianalmente dal Signor Vito La Terra (uno dei cosiddetti “brasiliani” di cui sopra).

Intorno al 1965/66 iniziarono i tornei cittadini sul mitico campetto polveroso di San Vito. Essendo di misura più piccola rispetto allo standard previsto, si poteva giocare soltanto con squadre composte da sette giocatori. Le stesse squadre però cominciarono ad assumere non più i nomi delle origini, ma quelli degli sponsor. Una vera rivoluzione epocale. Dunque, non più l’Edera (repubblicana) ma il Caffè Guccione, non più la Libertas (democristiana) ma il Bar Firenze (l’antenato dell’attuale Ristorante “U Dammusu”), non più la Fiamma (missina) ma il Bar Nicosia. Poi, grazie ai miti televisivi, si affacciarono nomi come l’Indipendiente, il Real, e così via. ll boom economico degli anni sessanta aveva cambiato abitudini e modalità di vivere il calcio. Era finita anche l’epoca delle collette per comprare il pallone, adesso era possibile trovare anche i soldi per comprare non soltanto più di un pallone, ma addirittura i completi sportivi per tutti i giocatori delle squadre. Miracoli di un inizio di benessere diffuso.

Negli anni sul campetto di San Vito si vide di tutto, ma proprio di tutto, tra pianti a dirotto e gioie incontenibili, tra pugni ben assestati e baci per far pace, tra goal impossibili e goal clamorosamente mancati, tra liti furiose e riconciliazioni da libro cuore. Si videro anche giocatori quasi nudi (non c’erano spogliatoi) e signore eleganti che si fermavano a guardarli, squalifiche ignominiose a vita per aggressione agli arbitri e ritorni fraudolenti in campo con nuove false identità, fino alla sospensione di partite per furto di palloni e partite disonorevolmente vendute a tavolino per una cena luculliana a base di salsiccia.

Dal 1969 (circa) in poi si cominciò a giocare anche di sera grazie alla nuova illuminazione artificiale installata e iniziò così l’era dei tornei notturni. Nacquero nuove squadre e nuovi giovani campioni. Finita l’era della Fiamma, quella dell’Indipendiente e del Bar Guccione, nasceva il nuovo astro della Gulfi… e la storia continuerà.