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La Ruta De Los Hospitales si chiama così perché nel medioevo era un tratto servito da diverse case di accoglienza per pellegrini, ma successivamente vennero abbandonate per la scarsa sicurezza e la lontananza dai centri urbani. Oggi, data la difficoltà del tratto, esiste un’altra variante con diversi servizi nel percorso per rendere il cammino più sicuro. Noi ovviamente decidiamo di prendere la vecchia Ruta De Los Hospitales: 34km consecutivi fra le montagne, senza nessuna fonte di acqua né forme di civiltà, dislivelli impressionanti e sentieri accidentati. Dopo quel cammino sono diventato un atleta di trail running (sul serio).

La difficoltà del percorso è compensata però dalla bellezza dei paesaggi. Una volta raggiunta una certa altitudine riusciamo a superare la nebbia, che adesso guardiamo dall’alto dissolversi lentamente mostrando nuovamente la vegetazione che ricopriva. A volte era talmente fitta da creare dei veri e propri ‘laghi di nebbia’.
La rugiada si posava su piante, fiori e ragnatele che brillavano intensamente alla luce del sole.Nel frattempo il percorso proseguiva. Dai 600 metri di altitudine di Campiello ci stavamo avvicinando ai 1300 metri del Pico Hospital. Padre Graziano era già stanco e si lamentava sempre più del percorso che non imaginava così difficile e non sapeva di essere sulla parte più facile della ‘ruta’.

Di rado si incontrava qualche altro viaggiatore e quando capitava si scambiavano due chiacchiere. Fra questi Fritz (si, come l’amico) e Astrid, una coppia di tedeschi sulla trentina che rappresentavano perfettamente gli stereotipi che li precedevano: alti, biondi, belli, intelligenti e felici. Se avessi dovuto immaginare due essere umani perfetti avrei pensato a loro. Sempre pronti ad un sorriso smagliante e a venirti incontro per qualsiasi problema.
Ad un certo punto troviamo le ossa ancora insanguinate di una mucca scannata. Per fortuna ancora ignoravamo che quella zona pullulava di lupi e orsi e abbiamo proseguito senza troppe preoccupazioni.

Il percorso è sempre più tortuoso e ripido e Padre Graziano va peggiorando. Solitamente è sempre ottimista, chiacchierone e gli piaceva scherzare, ma adesso non parla quasi più. Gronda di sudore e prosegue piano e affannosamente. Anch’io sono sorpreso dalla difficoltà del percorso, dopo ogni salita ci immaginavamo una discesa e invece ne spunta una più ripida. Adesso eccone una fatta di pietre mediamente grandi. La faccio senza dire una parola, senza pensare a null’altro se non alzare una gamba dopo l’altra.

In cima a quella salita aspetto Padre Graziano incitandolo come un personal trainer. Pian piano, pian piano, arriva e si accascia a terra. Con una voce tremula sussurra ‘basta, non ce la faccio più’. Siamo a poco più di metà percorso. I pellegrini incrociati durante il cammino sono già avanti. Il telefono non ha campo. Non c’è nessuna forma di civiltà nei paraggi. Lo avevo dato già spacciato e riflettevo se seppellirlo lì o fare finta di niente e continuare. Ci siamo fermati per un po’. Abbiamo mangiato e bevuto. Padre Graziano sembrava migliorare. Era in una sorta di meditazione. Credo stesse pregando. Il momento fatidico del suo cammino di Santiago, quello in cui doveva abbandonarsi totalmente alla fede per trovare la forza di continuare. E così è stato. Si è alzato e ha detto ‘andiamo!’. Fortunatamente le salite ripide erano davvero finite e abbiamo proseguito senza troppe difficoltà.

La strada sembra però non finire mai. Durante il percorso ci uniamo ad altri viaggiatori, oltre ai due tedeschi ci troviamo insieme ad una ragazza cilena e a due scozzesi.

Verso la fine del cammino le scorte di acqua si esauriscono. Anche se tutti ben riforniti non è bastata comunque. Uno degli scozzesi ha una guida che indica una fattoria vicina, dove dovrebbe esserci un pastore gentile felice di offrirci da bere. Il pastore c’era davvero, ma con un minaccioso fucile pronto a sparare se il ragazzo scozzese non fosse andato via immediatamente. Non era così gentile come diceva la guida. Abbiamo proseguito.

Troviamo un’altra casa abitata. Mi avvicino disperatamente come un mendicante e busso. Non vi dico la suspence che si era creata, ma stavolta ci è andata bene. Rifocillato lo stomaco abbiamo proseguito per gli ultimi 3km del cammino. Ce l’abbiamo fatta!

La giornata si conclude con una bella cena comunitaria all’albergue, a base di piatti tipici del paese di ognuno di noi, mentre le sofferenze del cammino sono diventate aneddoti da raccontare, per fortuna. (torna alla prima pagina)

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