4.9
(16)

di Vito Castagna 

C’è ancora domani è più che un augurio. È una speranza che si fa pellicola e che tocca l’animo di molti spettatori, come dimostrano gli incassi al botteghino. Basta fare una breve esplorazione su alcuni gruppi Facebook dedicati al cinema, una cartina al tornasole abbastanza fedele sugli indici di gradimento, per notare quanto quest’opera prima abbia acceso gli entusiasmi di moltissime donne. 

E ciò colpisce. Non sono di certo pochi i registi che hanno parlato della condizione femminile, eppure sembra che Paola Cortellesi abbia saputo toccare delle corde che alcuni colleghi più affermati hanno stentato a far vibrare. Che sia dovuto alla mancanza di sfaccettature – a tratti caricaturale – dei personaggi maschili da lei scritti? Gli uomini di C’è ancora domani”, salvo poche eccezioni, prevaricano sistematicamente le donne ed esprimono con la violenza verbale, fisica ed economica le prerogative che la società ha loro arrogato. Il marito di Delia (Paola Cortellesi), interpretato da Mastandrea, è il campione ottuso di questo prototipo

C'è ancora domani
Valerio Mastandrea e Paola Cortellesi

È uno stato di cose così lontano dalla nostra realtà? Sì, ma forse non troppo. Cambiano i contesti e i modi. Le donne di oggi possono rifarsi a diritti al tempo inimmaginabili, eppure il patriarcato è ancora pericolosamente vivo e conosce strumenti più subdoli. Stando così le cose, si può dire che questo film ha successo perché ha saputo intercettare la condizione e lo stato d’animo di molte donne. In troppe credono infatti che il processo di emancipazione femminile si sia fermato e che, ancor peggio, stia facendo decisivi passi indietro.

C’è però una speranza: la partecipazione di ogni membro della società. Su questo la Cortellesi è chiara: nessuno si salva da solo. Qualsiasi resistenza al macismo può spezzarsi se non sostenuta. Una figlia, infatti, può essere salvata da una madre, una donna/madre/moglie e tutto ciò a cui aspira ad essere può salvarsi solo col supporto di tutti. 

C'è ancora domani

Di fronte a questo, molti aspetti propri della pellicola passano in secondo piano. Ciò però non toglie che il film presenta delle scene degne di nota, con scelte stilistiche azzeccate. Non ci troviamo di fronte ad un capolavoro, ma questo non è importante. Contano i fini, direbbe qualche filosofo utilitarista, conta che il cinema torni ad interessarsi al sociale e a parlare dell’oggi. E questo, fortunatamente, in Italia si sta tornando sempre di più a fare.

L’ultimo articolo de “La Grafia del Cinema”: The day the clown cried

Vota questo articolo

Valutazione media 4.9 / 5. Conteggio voti 16

2 Comments

  1. Sebastiano D'angelop Reply

    Il film, pur pieno di buone intenzioni, con azzeccate scelte registiche( vedi l’uso anche del bianco e nero) e una sorta di ritorno al neo realismo del cinema del dopoguerra, tuttavia ha avuto un finale a mio avviso deludente che ne ha compromesso uogni pur lodevole finalità. DELIA, la protagonista, cui tutti tifavamo per il definitivo riscatto dalla sua soccombenza ancestrale nei confrongi del marito, architetta un piano non per la sospirata fuga ma….udite udite, per andare a vitare.Sinceramente a me e’ parsa una trivata farsesca. Molto enfatizzato da tanti, a me è parso tutt’altro che un capolavoro, ma al massimo un buon film e nulla più. vito insufficiente nel suo complesso.

Write A Comment