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di Giovanna Giallongo

Immaginatevi scrittori! Creatori di un personaggio talmente affascinante da diventare leggenda. I lettori vi seguono e, soprattutto, amano quel personaggio così profondamente da non accettarne l’eventuale fine che voi avreste pensato per lui. Immaginatevi costretti a fare un passo indietro e a far rivivere qualcuno che per voi inizia ad essere un peso. Un fastidioso sassolino che volete togliere via ma non potete perché l’opinione pubblica vi impone di andare avanti, di scrivere ancora su di lui. Sulle sue avventure e sui casi misteriosi risolti grazie alla sua arguzia. Immaginatevi pieni di astio nei confronti della vostra stessa creatura letteraria.

Semplicemente, immaginate di essere Sir Arthur Conan Doyle!

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Arthur Conan Doyle

Uomo complicato, come la maggior parte degli scrittori naturalmente. Nato in Scozia il 22 Maggio del 1859, Arthur Conan Doyle viene considerato uno dei padri fondatori del giallo e del fantastico. Fortemente ispirato da Edgar Allan Poe, egli passa alla storia con celebri frasi destinate a risuonare nelle orecchie e nelle bocche di tutti.

Elementare, Watson!” oppure “Non c’è nulla di così ingannevole come un fatto ovvio!

Grazie alla madre, donna colta e amante della lettura che era solita raccontare ai figli strane storie, la giovanissima mente di Arthur viene stimolata all’immaginazione. Il padre, alcolizzato, era la fonte principale delle cattivissime condizioni economiche della famiglia e fu proprio grazie al gomito pimpante paterno che l’istruzione di Arthur venne affidata ad alcuni parenti benestanti che lo mandarono a studiare al Jesuit College di Stonyhurst. Esperienza da dimenticare, considerati i maltrattamenti a cui era soggetto!

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Il Jesuit College di Stonyhurst, oggi

Proseguì gli studi in Medicina ad Edimburgo dove incontrò il Dr. Joseph Bell, uomo brillante, acuto e dalle grandi capacità deduttive. Proprio da questa conoscenza nacque l’idea per la creazione di un personaggio letterario unico nel suo genere.

Nonostante la professione di medico fosse ben condotta da Arthur, la sua vocazione letteraria era più forte che mai, tanto da abbandonare tutto e dedicarsi alla penna. Il fallimentare successo delle prime opere si oppose tuttavia all’entusiasmo generale che accolse il suo romanzo poliziesco il cui protagonista era un detective privato, osservatore infallibile dal grande ingegno. Il suo nome era Sherlock Holmes.

Basil Rathbon nei panni di Sherlock Holmes nel primo film dedicato al famoso investigatore: “Il mastino dei Baskerville” (1939)

Arthur si convinse, erroneamente, che la vita – così come il successo – di Sherlock non potesse durare a lungo. Alla base di tale convinzione vi era anche un’esigenza in particolare: lo spiritismo. Arthur aveva da tempo, ormai, abbandonato la religione cattolica per seguire il movimento degli spiritualisti. In senso lato, spiritualismo è un qualsiasi movimento filosofico e religioso che si oppone al materialismo e accetta l’esistenza di entità spirituali i quali hanno la capacità di comunicare con gli esseri umani attraverso facoltà medianiche. 

Sir Arthur non aveva proprio tempo da dedicare al suo Sherlock e fu così che il nostro autore decretò la fine del personaggio. Sherlock Holmes doveva morire!

Doveva, appunto. Il pubblico non gradì per niente la dipartita del suo beniamino e, non potendo più sopportare le continue pressioni e richieste, nel 1905 in “The return of Sherlock Holmes” Arthur Conan Doyle cedette al volere dei suoi lettori e riportò in vita il tanto amato detective spiegando come egli si fosse salvato dall’attacco mortale sferrato dal suo più grande nemico, il Prof. Moriarty. 

Basil Rathbon (a sx) e Lionel Atwill, interprete del Professor Moriarty in “Sherlock Holmes e l’arma segreta” (1942)

Alla gioia dei lettori si contrapponeva la disperazione di uno scrittore imprigionato dalla sua stessa creatura. Arthur odiava Sherlock perché egli rappresentava, paradossalmente, tutto ciò che lui stesso disprezzava. Holmes era razionale, logico, scettico! Non accettava l’esistenza di spiriti o altro che non fosse concretezza e materia. Arthur era uno spiritista! Per lui la concretezza non significava niente.

Nel 1930, Sherlock Holmes diventò orfano di padre letterario. Sir Arthur Conan Doyle, infatti, aveva raggiunto quella dimensione eterea a cui aveva creduto per quasi tutta la vita mentre la sua creatura venne affidata ai posteri, sicuramente molto più clementi del creatore stesso.

Del resto, come Sherlock stesso disse: Ciò che un uomo può inventare, un altro può scoprire…

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