di Sebastiano D’Angelo
Era il mese di gennaio del 2020. Da poche settimane il mondo era scosso da una novità che ne avrebbe cambiato il corso degli eventi. Dalla Cina arrivava l’eco, prima sfumato, poi via via sempre più chiaro, di uno sconosciuto virus la cui contagiosità ancora non si intuiva in tutta la sua virulenza. Immagini lontane di laboratori, di uomini mascherati, di improvvisati lockdown, di città deserte, filtrate in modo poco trasparente, come da tipica propaganda cinese, facevano il giro del mondo creando crescente allarme, che però in Europa, e ancor di più in Italia, è stato all’inizio sottovalutato.

Tutto sembrava avvolto nel mistero. Le prime contromisure adottate nel nostro paese, come quella del blocco aereo dalla Cina, apparivano improvvisate se non addirittura esagerate.
Seppur con una attenzione sempre crescente ai pericoli derivanti da questo virus, e nell’incertezza interpretativa e comunicativa da parte delle autorità sanitarie mondiali e nazionali, ci siamo comunque cullati a lungo nella confortevole illusione di una immunità da quel pericolo. D’altronde la Cina era lontana, e non erano chiare le notizie sulla letalità e l’infettività del nuovo virus, avvolte com’erano nel clima di opacità che da sempre contraddistingue tutto quello che avviene nel gigante asiatico.

Poi a fine febbraio emersero i primi casi in Italia. Con un rotazione e velocità sempre più impetuosa ci si rese conto, d’un tratto, di non essere affatto immuni da quel pericolo, che la nostra vita appariva sotto un’incalzante minaccia e che il futuro cominciava ad essere segnato da una crescente paura. Era scoppiata una pandemia che si sarebbe rivelata tragica e luttuosa per l’umanità intera.
In quel mese di gennaio del 2020, oramai lontano e dimenticato per il susseguirsi incessante dei fatti di cronaca dell’infezione, i giornali locali riportarono con grande evidenza la notizia della biologa ragusana Concetta Castilletti, del team di ricercatori dell’Ospedale Spallanzani di Roma, che aveva isolato per la prima volta in Italia il virus. Scoperta che pose le premesse per le successive ricerche che avrebbero portato alla sperimentazione dei nuovi vaccini per contrastarne la diffusione e, soprattutto, per ridurne gli effetti letali.

Travolta da un’insolita notorietà, Concetta con umiltà ha sempre rifiutato quel sensazionalismo che ne derivò dall’impresa. In fondo aveva fatto semplicemente il proprio dovere di ricercatrice, accettando di lavorare da “precaria” fino a 45 anni pur nelle difficoltà dei contesti in cui si era sempre trovata, in spregio anche alla propria incolumità. In passato aveva persino accettato di andare in prima linea in Congo, Sierra Leone e Sudan per cercare di sconfiggere l’Ebola, un virus ben più letale del Covid ma, per nostra fortuna, molto meno infettivo.

L’acclarata origine ragusana della biologa è stata per tutti noi iblei motivo di grande orgoglio, tale da indurre l’Associazione Ragusani nel Mondo a far conoscere la sua storia e portarla nella grande vetrina del Premio.
L’appuntamento è stato il 31 luglio del 2021, con una testimonianza sul palco che ha incantato il pubblico di Piazza Libertà, per simpatia, semplicità e coinvolgente umanità. È stata una presenza fra le più gradite di sempre, che ha confermato la vocazione del Premio a raccontare personaggi e vicende umane in grado di far emergere quel sano orgoglio della comune appartenenza iblea.

Quella sera Concetta ha incoraggiato e incitato soprattutto i giovani a crederci sempre e comunque nel “mestiere” di ricercatore, al di là della paga o dei riconoscimenti, perché la ricerca scientifica è un lavoro duro ed anonimo, che non sempre ripaga dei sacrifici fatti, ma gratifica dentro, sempre. “L’umiltà dei grandi”, proprio quella di Concetta Castilletti.

