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di Giannandrea Giallongo

Chiunque si trovi a passare dalla Piana Comiso-Vittoria-Acate, guardando verso i rilievi collinari sullo sfondo, non può non essere catturato dalla cromaticità del marrone dei campi, dell’argento degli ulivi e del verde brillante della selva iblea. Da questo affascinante quadretto risulta evidente come la tipicità della natura dei luoghi si intrecci in qualche modo con la vita dei cittadini iblei.

Tra la selva dei monti si articola fitta una rete di sentieri e alcuni di essi nascondono piccole meraviglie paesaggistiche. Una tra queste è costituita dai ruderi della ferrovia Siracusa-Bivio Giarratana-Ragusa, una linea a scartamento ridotto, che tra le varie stazioni vantava pure la Necropoli di Pantalica.
Nel tratto che va dal bivio di Giarratana alla vecchia stazione di Chiaramonte i binari si snodano meravigliosamente tra i crinali attraversando prima Monte Lauro e poi l’Arcibessi, dove si insinuano tra trincee e gallerie.

Tunnel noti ai tanti ciclisti che in sella alle loro mountain bike pedalano tra pietre e fossi, salite e discese, varcando poi il ruscello fino a giungere su quella che fu la strada ferrata, attraversata un tempo da altre ruote e altri uomini, forse in una seduta leggermente più comoda. 

La suggestione è forte, buche e sussulti in velocità, luce e ombra che si alternano così come il caldo estivo e la fresca umidità celata nel buio delle gallerie, nella cornice di una natura che lentamente, seguendo le stagioni, si appropria di ogni spazio tra le pietre degli archi e i bordi dei sentieri. Arrivarci vale tutte le salite che aspettano poi i bikers sulla via del ritorno.

Non è però nota a molti la via per giungervi, poche sono le persone che sanno come e da dove arrivarci. E le rare cartine disponibili rivelano informazioni lacunose per i neofiti che si volessero avventurare alla scoperta dello stesso percorso attraversato da Re Vittorio Emanuele III in treno nel lontano 1933.

Oggigiorno tutti parliamo di ecoturismo e riscoperta del territorio. Bene. Qui ne abbiamo un affascinante esempio e basterebbero piccole accortezze per renderlo pienamente fruibile.

Non mi riferisco alla bonifica del sentiero e, per carità, nessun parquet o cemento. Fossi e rovi sono parte del paesaggio naturale, così come restaurare radicalmente le gallerie ci priverebbe dell’effetto “ruderi antichi” togliendo misticità al posto.

Qualche segnale qua e là lungo la via, invece, non deturperebbe la vista, anzi permetterebbe un migliore orientamento. Così come sarebbe il caso che si provvedesse a dare indicazioni sulla durata dei tratti, in bici e a piedi, per una più consapevole fruibilità a ciclisti e appassionati di trecking.

I diversi percorsi potrebbero essere nominati in base agli elementi caratteristici dei luoghi, prevedendo anche altre informazioni e curiosità che andrebbero a stuzzicare occhi curiosi e intraprendenti.

Basterebbero insomma piccoli investimenti eseguiti con costanza per ampliare il movimento di interesse che ruota attorno al bosco e a trasformarlo in una risorsa per l’intera comunità.

Bisogna soltanto saper copiare dagli esempi virtuosi che esistono da sempre nelle regioni nordiche come il Trentino Alto Adige, che ha saputo coniugare sapientemente turismo, impresa e rispetto per la natura.

Noi avremmo anche il vantaggio di un clima favorevole tutto l’anno. Fattore che si potrebbe rivelare determinante nella competizione con i paesi nordici. Peccato che manchi del tutto la volontà politica (a cui si somma l’ostacolo di una burocrazia contraria a qualsivoglia novità) per dare una reale svolta a un colpevole immobilismo che dura ormai da tempo immemore.



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