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di L’Alieno

Una settimana dopo lo storico voto che ha consegnato l’Italia alla Meloni, il dibattito politico sembra assumere una piega surreale. Tante le critiche ai presunti provvedimenti di un governo che ancora non c’è e ad una Presidente del Consiglio ancora nemmeno nominata. I toni, millenaristici, sembrano essere ancora quelli della campagna elettorale, atti a delegittimare politicamente i vincitori: rei, di volta in volta, di prepararsi ad una seconda marcia su Roma, stravolgere la Costituzione in senso autoritario e imbottigliare olio di ricino. Nemmeno il buon senso di aspettare la costituzione delle camere e la formazione del nuovo governo. Siamo all’opposizione preventiva.

Giorgia Meloni (foto corriere.it)

Voltiamo pagina. Che la sinistra italiana sia in una profonda crisi di identità non lo si scopre oggi. Un problema antico iniziato con il crollo del muro di Berlino. Adesso la narrazione dominante, paradossale, prevede un solo responsabile della sconfitta: il PD. Presunto colpevole di ogni male della sinistra. Presunto azzerato da questa tornata elettorale.

E quali sarebbero le prove di questa storica disfatta? Forse i numeri? Non mi pare. Il tanto osannato Conte, ad esempio, capo di un partito padronale, che ha fatto e detto tutto e il contrario di tutto in questi 4 anni, ha perso circa 6 milioni di voti. Il PD 500 mila. E dovrebbe essere quest’ultimo a subire un’“OPA” dal primo degli sconfitti?

(Fonte: cise.luiss.it)

Ma la cosa più incredibile della vicenda è l’atteggiamento remissivo della dirigenza del PD che sembra rispecchiarsi acriticamente negli odiosi giudizi di chi lo vuole morto per dividersene le spoglie. Dai nani egoarchi Calenda e Renzi, con il loro misero 3,9% a testa, ai populisti a 5Stelle, fino alla strafallita sinistra antisistema da prefisso telefonico. Complici di questo pensiero distruttivo i soliti noti, tra livorosi ex, vecchie mummie e noiosi intellettuali di area. A completare il cerchio certa stampa capitanata da quel grande manipolatore che è Travaglio.

Un briciolo di orgoglio nel PD, tutt’ora primo partito dell’opposizione, imporrebbe sì un esame impietoso sugli sbagli indecenti della campagna elettorale, sì un doveroso ricambio ai vertici, sì nuove prospettive inclusive, nuovo lessico e diverso modo di comunicare, ma non la cancellazione di una storia politica che ha garantito al paese un equilibrio politico-istituzionale fondamentale in tempi difficilissimi. Occorrerebbe invece una personalità empatica, di rottura, che sappia impostare un lavoro innanzitutto centrato sull’identità socialdemocratica, che possa lavorare in pace e magari… donna. Elly Schlein?

Elly Schlein

Foto banner repubblica.it

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