di Simona Canzonieri
Il libro scelto dal Gruppo di lettura di Chiaramonte Gulfi, per il mese di Giugno, è stato “Gli indifferenti” di Alberto Moravia. Pubblicato nel 1929 a spese dell’autore appena ventiduenne. “Gli indifferenti” segna l’inizio della sua lunga e prolifica carriera da scrittore.
Il romanzo, con una forte impostazione teatrale, apre il sipario sugli Ardengo, una famiglia borghese ridotta sul lastrico e succube delle manipolazioni di un usuraio senza scrupoli, Leo Merumeci. La madre, Mariagrazia, amante di vecchia data del suo stesso strozzino, vive in una bolla irreale fatta di infantili gelosie, feste di gala, vestiti nuovi e cappellini. La figlia, Carla, profondamente annoiata dalla quotidianità ipocrita e fittizia in cui è costretta a vivere, trova nelle avances di Leo una possibilità di fuga, e alla fine accetterà di sposarlo nonostante la chiara consapevolezza di andare incontro ad un destino per nulla diverso da quello della madre, fatto di inganni e freddi giochi di potere.

E poi c’è Michele, il figlio, l’alter ego di Moravia, colui che più lucidamente di tutti riesce a vedere la ridicola meschinità della maschera che tutti indossano ogni giorno. Michele comprende cosa si dovrebbe pensare e fare per essere autentici, capisce l’impossibilità di una vita lontana dalla verità ma allo stesso tempo non riesce a trovare dentro di lui la forza necessaria per l’azione sovversiva, per fermare e ribaltare tutto. A bloccarlo in questo tormento senza uscita è l’indifferenza, la profonda mancanza di senso che avverte dentro.

Il libro, di semplice e scorrevole lettura grazie ad un linguaggio asciutto e senza fronzoli, non si presta però ad una facile interpretazione. Ciò è emerso subito durante il nostro incontro, dove ben lungi dall’avere un parere unanime, i partecipanti si sono subito schierati tra difensori e detrattori – o per meglio dire demolitori – del romanzo. Per alcuni un libro vuoto, fatto solo di chiacchiere inutili, che non si risolve in nulla e nulla lascia addosso; una visione della donna pessima, persa tra dinamiche di potere che la sovrastano e illusorie fantasticherie; un estenuante ed ansiogeno crogiolarsi nella propria impotenza che lascia un senso di frustrazione nel lettore.

Per gli altri un romanzo potente in cui Moravia ha saputo alzare la spessa cortina del perbenismo borghese e, senza filtri, ci lascia guardare, quasi con voyeuristico piacere, le miserie umane di chi ha perso per strada ogni senso di lealtà e onestà verso se stesso e smarrito le proprie “verità”. Miserie umane trasversali ad ogni epoca e ad ogni classe sociale.
Per stessa ammissione dell’autore, l’intento de “Gli indifferenti” non era quello di realizzare un ritratto impietoso di una classe sociale (la borghesia) di cui lui stesso faceva parte, ma di scrivere un romanzo che avesse l’anima della tragedia. Un romanzo che mettesse in luce il tormento interiore di un uomo – Michele – e in parte anche di una donna – Carla – combattuti tra la propria intima “verità” e quella socialmente e fittiziamente costruita.

Gli eroi tragici di Moravia però sono eroi mancati, perché il tempo in cui lo scrittore scrive non è più quello dei grandi ideali, delle passioni ardenti che smuovono l’animo, ma quello della decadenza, intellettuale prima che morale. E se l’azione perde la sua giustificazione morale, dettata da credenze radicate profondamente nell’animo, forse l’indifferenza resta l’unica risposta possibile all’amoralità di una cultura decadente.
