ovvero
Anche oggi si finisce in prigione domani
di Giulia Cultrera
In sei stagioni di How to get away with murder, i protagonisti riescono sempre a decimare la cerchia di persone che gli orbita intorno, riuscendo a farla franca grazie alle straordinarie abilità difensive dell’avvocato Annalise Keating.
Si potrebbe creare un crossover con Better Call Saul: in entrambi i casi è quasi certo che, alla fine del processo, il criminale otterrebbe il bonus “esci gratis di prigione”.
Tuttavia, essere i pupilli della professoressa, a lungo andare, comporta più problemi (legali) che vantaggi. Questo è decisamente chiaro ai nuovi arrivati nel corso di Annalise: un po’ come Harry Potter che, durante lo smistamento delle case, chiede al cappello parlante «Non Serpeverde!», così qualsiasi studente di diritto penale spera in cuor suo “Non uno dei Keating Four!”.
In realtà, nonostante sia stata in più occasioni un’abile e spietata manipolatrice, la vera vittima è proprio Annalise. L’unica a non aver mai oltrepassato i limiti (spesso incaricando qualcuno di commettere illegalità al proprio posto), sempre pronta a coprire un delitto e a difendere strenuamente i suoi studenti. Gli stessi studenti che, alla fine, la accusano di tutti i crimini da loro commessi.
Con questi presupposti, sembra scontato temere dell’incolumità dei ragazzi senza Annalise che gli copra le spalle. Invece, le loro vite prendono la giusta piega soltanto quando ognuno percorre la propria strada, separandosi dagli altri.
C’è chi paga per gli errori commessi, chi taglia ogni rapporto con il passato e chi riesce finalmente a condurre una vita serena, diventando mentore di chi, un domani, ripercorrerà le sue grandi orme.
Si spera, stavolta, senza eccessivo spargimento di sangue.