di Vito Castagna
Sono molte le personalità che hanno influenzato la storia politica della Sicilia e del Meridione d’Italia. Tra queste vi fu un personaggio d’eccezione, Maione da Bari, che fu a capo della cancelleria del normanno Guglielmo I, sovrano del Regno di Sicilia, dal 1154 al 1160.
Maione era nato dall’unione tra il protogiudice Leo de Rayza e Kuraza, membri di una delle famiglie arabe più influenti della città pugliese. Oltre a ciò, non sappiamo nulla della sua infanzia né del modo col quale riuscì ad entrare nelle grazie di Ruggero II e a divenire membro stabile della cancelleria palermitana. Sicuramente, le sue capacità dovettero avere un forte ascendente sul re.
La brillante carriera di Maione cominciò proprio alla morte del primo sovrano normanno, quando, dopo l’incoronazione del figlio di questi, Guglielmo, venne eletto Ammiraglio degli ammiragli, titolo di derivazione araba. Oltre alla nomenclatura, ciò che più conta è che il barese acquisì un potere notevole nel Regno, scalzando le figure che precedentemente avevano composto la cancelleria. Ben presto, coloro i quali ne erano stati esclusi tentarono di restaurare lo status quo vigente durante il governo di Ruggero II. Fu in questi frangenti che Maione ebbe modo di dimostrare tutte le sue qualità.
Nel 1155, Roberto di Basunvilla, conte di Loretello, guidò una rivolta contro il sovrano di Sicilia. Forte dell’appoggio di papa Adriano IV e dell’imperatore bizantino Manuele Comneno, egli riuscì ad occupare buona parte dei domini continentali del Regno. Le spinte centrifughe intaccarono la salute di Guglielmo I, che, senza opporre alcuna resistenza, si chiuse nelle sue stanze.
Furono in tanti a credere che il re fosse morto; eppure, inaspettatamente, Guglielmo si riprese e la sua risposta fu quanto mai violenta. Attraversato lo stretto, il sovrano assediò e rase al suolo Bari. All’arabo Maione venne affidato il compito di trattare col pontefice e, grazie alla sua mediazione, Guglielmo ottenne un concordato nel 1156. Questi accordi, stretti a Benevento, misero in luce l’abilità diplomatica del cancelliere, senza la quale Guglielmo non sarebbe stato in grado di risultare vincitore su tutti i fronti.
Nonostante ciò, l’opposizione aperta contro la monarchia continuò a serpeggiare. Nel 1158, i baroni siciliani e calabresi infiammarono una nuova rivolta nel cuore dell’Isola. La risposta di Maione fu immediata, ma i torbidi messi in moto erano ormai in procinto di travolgerlo.
Matteo Bonello, uomo di fiducia del re ma in combutta coi ribelli, organizzò una congiura contro l’Ammiraglio e cercò appoggio in Ugo, arcivescovo di Palermo. Nella sera del 10 novembre del 1160, Maione, venuto a conoscenza della malattia dell’arcivescovo, si era recato a rendergli visita. Uscito dalla casa del presule e raggiunta porta Sant’Agata, Matteo Bonello e alcuni armati gli sbarrarono il cammino; poi, dopo averlo ingiuriato, lo assassinarono.
La reazione del sovrano fu terribile: il Bonello, dopo alterne fortune, venne imprigionato, accecato, e infine, dopo una lunga agonia, i suoi tendini furono recisi. Ancora una volta il re faceva del terrore la sua arma più affilata.
La morte di Maione segnò la fine della politica accentratrice di Guglielmo I e il fallimento di un esperimento quanto mai complesso. Eppure, grazie al barese, il Regno di Sicilia riuscì a superare un’impasse su ben quattro fronti: quello interno, quello papale, tedesco e bizantino. La sua è la storia di un arabo che raggiunse i più alti vertici in un regno cristiano.
Le miniature sono tratte dal manoscritto “Liber ad honorem Augusti sive de rebus Siculis” di Pietro da Eboli.