di Giuseppe Cultrera
Gli iblei erano rinomati, fin dai tempi antichi, per la produzione di un miele di grande qualità. Il miele ibleo era noto e apprezzato dai greci quanto quello prodotto sul monte Imetto. Il grande condottiero Alessandro Magno era stato “imbalsamato col nettare ibleo”; e intatto, ne osservava il corpo, tre secoli dopo Augusto, appositamente recatosi al mausoleo di Alessandria per rendergli omaggio.

Come dolcificante fu noto ai romani e agli arabi; per tutto il medioevo e fino all’epoca moderna, il miele della Sicilia sudorientale ebbe una significativa e ricercata produzione. Il segreto del suo colore e sapore era nel fiore di satra, ampiamente presente negli altopiani di origine vulcanica baciati dalla brezza mediterranea e da un microclima propizio. Le api erano “allevate” da esperti mielari, le cui corporazioni custodivano gelosamente usanze e consuetudini, vigilando sulla attenta gestione del “bene comune”.

La cava di Pantalica, gli altopiani siracusani e ragusani e parte del territorio catanese per oltre due millenni sono stati il territorio di produzione. Molti alveari venivano spostati, da valle a montagna, dalla marina all’entroterra, a seconda delle stagioni e delle fioriture: ma stavolta il prodotto era diversificato, millefiori, cardo, zagara, carrubo ecc.

L’incontaminato paesaggio delle origini – pascolo delle api – ha subito nell’epoca moderna una sempre più invasiva antropizzazione che, nell’ultimo secolo, ancor più ha accentuato l’intervento sul territorio, specie agricolo, con trasformazioni, e l’uso, spesso sconsiderato, di additivi e coadiuvanti chimici. La fauna di piccole dimensioni e fragile – specie le api – è stata traumaticamente segnata e decimata. Se poi aggiungiamo che alle specie autoctone sono state associate altre di provenienza esterna, anche extra-continentale, spesso modificate geneticamente…

Quella che era una lucrosa attività rischia di scomparire, assieme a un prodotto di alta qualità, e per le proprietà organolettiche e per il sostrato di storia e cultura ecologica. Il grido d’allarme dei produttori è forte: “Il lavoro è molto e la redditività bassa, perché i quantitativi sono scarsissimi. Il 2021, poi, è stato l’anno dell’apocalisse. Non si può andare avanti così: lavorare, non guadagnare e perdere le api” (Il Gambero rosso).

Un barattolo di miele ibleo è un caleidoscopio di equilibrio naturale che ancora ci è concesso gustare. In un futuro, niente affatto distopico, potrebbe essere solo un ricordo storico, letterario, poetico:
Da qui, presso il limite, la siepe, del cui fiore
del salice si nutrono le api iblee, ti inviterà sempre
con voce tenue ad addormentarti di un sonno lieve.
(Virgilio, Bucoliche, Ecloga Ia)

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