“Con la Stratos, in quel periodo, mi sono giocato tutto, ben sapendo che se avessi fallito, sarei stato annientato dai suoi potenti oppositori. Ma per fortuna le cose, alla fine, sono andate nella giusta direzione, anche se, qualche anno più tardi, fui costretto a ritirare dalle gare una macchina che ancora avrebbe dominato per parecchie stagioni…”
Cesare Fiorio (Direttore Sportivo del Gruppo Fiat e fondatore del reparto corse HF della Lancia)

di Giuseppe Schembari
Quando la Carrozzeria Bertone presentò la futuristica concept car “Stratos” al Salone di Torino del 1970, successivamente chiamata “Zero”, furono in pochi ad intuirne la portata della rivoluzione (anche stilistica) che avrebbe avuto da lì a poco: era caratterizzata da una linea a cuneo e dall’assenza di portiere e per l’accesso all’abitacolo bisognava sollevare l’ampio parabrezza anteriore. La firma era quella del giovane ingegnere e designer Marcello Gandini, già autore delle forme della Lamborghini Miura. Il gruppo motopropulsore era, invece, quello della Lancia Fulvia 1600 HF, montato in posizione posteriore centrale.

La brillante idea di svilupparne, da quel prototipo, una vettura da corsa venne a Cesare Fiorio, l’allora Direttore Sportivo del Gruppo Fiat e fondatore del reparto corse HF della Lancia, e a Ugo Gobbato, Direttore Generale della stessa casa Torinese. Secondo i regolamenti del tempo una vettura da corsa veniva considerata di serie quando ne fossero state prodotte 400 esemplari. Così, per la prima volta nei Rally, si ricorse all’espediente di creare una limitata produzione di auto sportive per ottenere l’omologazione sportiva.

Si decise di chiedere a Nuccio Bertone lo sviluppo di quel prototipo a trazione posteriore, però. In poco tempo Gandini realizzò una berlinetta compatta, con due portiere e un passo di soli 2.18 metri. La linea cuneiforme ricalcava quella del prototipo. Il telaio era di tipo autoportante, mentre per le sospensioni fu scelta la soluzione a schema MacPherson con barra antirollio nel posteriore. L’anteriore a doppi quadrilateri sovrapposti con molle elicoidali, ammortizzatori idraulici telescopici e barra antirollio.
Nel gennaio 1971 la Lancia invitò Bertone a presentare il suo progetto al Reparto Corse di via Caraglio e lo stesso patron arrivò guidando personalmente la vettura. La presentazione fu convincente e venne approntato un programma di lavoro. Il progetto ebbe ufficialmente inizio il mese successivo.

Capitolo motore. Alcuni suggerirono di adottare una versione turbocompressa del motore Flavia 2000, altri il V6 della Maserati Merak, altri ancora il 4 cilindri bialbero Fiat con testata 16 valvole. Ma alla fine si concordò tutti che la migliore soluzione fosse il V6 da 65⁰ del Dino Ferrari 246. E fu Gobbato a convincere Enzo Ferrari a concedere la fornitura del motore.

Marcello Gandini, dopo aver creato il prototipo presentato alla Lancia, riprese lo sviluppo con ampia libertà di azione, non essendo legato da alcun telaio esistente. Mentre per il motore Dino si dispose una posizione centrale e trasversale come nella 246. Lo shassis fu concepito secondo le tecnologie più moderne per l’epoca, in parte già sperimentale con la Miura. La sezione centrale, compreso il tetto, fu ideata come una rigida monoscocca in acciaio a cui si aggiungevano dei solidi telaietti nell’anteriore e nel posteriore. E grazie al motore montato vicino al centro del passo, risultò un basso momento di inerzia polare che determinò un’ottimale trazione. Nell’ottimo ripartimento dei pesi il 60% gravava sul retrotreno, dove si optò, come detto, per un semplice sistema di tipo MacPherson.

La vettura, adesso chiamata Stratos HF, fece il suo debutto al Salone di Torino del 1971. Il passo rimase quello del prototipo originale, ma era più alta di 25 cm per facilitare l’ingresso e l’uscita dell’abitacolo. il nuovo prototipo era caratterizzato dalla carrozzeria in alluminio, grandi luci posteriore rotonde, cristalli colorati e doppi tergicristalli. All’interno gli strumenti erano montati su supporti tubolari con a centro un grosso contagiri. La vettura risultava fuori dai canoni classici propri del marchio, del tutto innovativa.

Nel frattempo, la Lancia stava ancora considerando la possibilità di utilizzare il motore bialbero della Fiat 132 per la versione di produzione. Vennero persino approntati dei cataloghi che descrivevano la Stratos dotata di questo motore (dal 1973 usato anche sulle Lancia Beta), ma in realtà sarebbe stata prodotta solamente con motore Dino Ferrari.
Venne realizzato anche un secondo prototipo, nel 1972, decisamente più vicino alla versione definitiva ed esposto nel salone di Torino di quell’anno.

La vettura entrò in produzione, dopo molti ritardi, nel 1974. Presentava una carrozzeria in plastica rinforzata con fibra di vetro, piuttosto che in alluminio, e il cruscotto apparve nella sua forma definitiva, con gli strumenti inseriti in un quadrante di alluminio lucidato. La carrozzeria fu oggetto di piccoli ritocchi di carrozzeria, e disponibile in una limitata gamma di colori: blu, azzurro, giallo, rosso e verde. Gli interni vennero rivestiti in velluto.
Oltre al giovane Gianni Tonti che lavorava a stretto contatto con Sergio Camuffo, al progetto Stratos, vennero chiamati a collaborare alcuni consulenti esterni di grande competenza, come l’ing. Gianpaolo Dallara, che si occupò del telaio e delle sospensioni, Claudio Maglioli nel ruolo di collaudatore, che seguì e coadiuvò il programma di sviluppo e l’ingegnere inglese ed ex pilota di Formula uno Mike Parkes.

In 12 mesi Bertone riuscì a realizzare 500 scocche (ne servivano 400), oltre ai pannelli in GRP per la carrozzeria. La Ferrari fornì (con qualche incertezza) i suoi motori e le trasmissioni e 174 vetture riuscirono ad essere completate. L’omologazione nel gruppo 4 fu ottenuta il 1⁰ ottobre 1974, ma per completare le 500 vetture ci volle molto più tempo. Nel 1975 venne omologato anche un motore a 24 valvole, oltre ai famosi spoiler sul tetto e sul cofano posteriore. Gli ultimi esemplari stradali furono venduti nel 1978 al prezzo di 12 milioni di lire.
Il suo passo corto di 2,18 m, il peso di 980 kg e le dimensioni compatte di 3,71 m, insieme alla potenza di 190 CV a 7.000 giri/min., riuscirono ad assicurare alla Stratos un comportamento stradale di assoluta eccellenza, quasi da go-kart.

Il debutto in gara avvenne al Tour de Corse del 1972, con Sandro Munari e Mario Mannucci. Ma durò pochissimo per noie meccaniche. Meglio andò al Firestone Rally di Spagna dove, nonostante il ritiro, si sfiorò la vittoria. Poi ci fu un onorevolissimo secondo posto alla 57a Targa Florio, per la coppia Munari-Andruet. Il suo primo trionfo avvenne nello stesso anno al Tour De France con la coppia Munari-Mannucci. Prima di ricevere l’omologazione, la Lancia cercò di ottenere una maggiore potenza dal motore con la prima versione a 24 valvole (260-280 CV) e una versione turbocompressa da 350 CV.

Nel 1974, anno di transizione tra la vecchia Fulvia e la nuova Stratos ci fu un secondo posto al Rally di Chamonix e la vittoria alla Targa Florio con la coppia Larrousse-Ballestrieri (anche se non valevole per il campionato). Arrivarono, poi, la vittoria al Rally di San Remo, al Rally del Canada e al Tour de Corse. Un terzo posto al RAC Rally e un quarto al Rally americano Press on Regardless (con una lancia Beta coupé). I risultati di quell’anno non furono comunque giudicati entusiasmanti nel quartier generale di Torino, perché ottenute solo dopo una lotta strenua tra le squadre sorelle Lancia e Fiat (con le 124 Abarth).

Nel 1975 si decise di partecipare anche al Campionato Europeo GT con una Stratos preparata da Facetti, che poteva essere considerata come semiufficiale. Ma il confronto con le Porsche fu fonte di delusione. Invece la stagione Rally iniziò benissimo. La Stratos si dimostrava vincente ovunque. A Munari venne affidata la versione a quattro valvole per cilindro da 270 CV, a Pinto e a Waldegaard la versione a due valvole da 230 CV. Il campionato mondiale venne vinto grazie alla vittorie a Monte Carlo, nel rally di Svezia, San Remo, Corsica, Rac rally, più altri piazzamenti.

Nel 1976 il copione dell’anno precedente fu ripetuto. La Stratos vinse il rally di Monte Carlo, quello del Portogallo e Giro di Corsica. A San Remo fu addirittura un trionfo con quattro auto ai primi quattro posti. Più una serie di piazzamenti. In confronto alle Stratos da rally, quelle da pista che usavano il turbocompressore, invece, non brillarono.
In quell’anno venne vinto anche la specialità dei rallycross con Wurz e Bentza. Mentre Darniche vinse ben otto gare del Campionato Europeo Rally.

Dal 1977 il gruppo Fiat decise di puntare sulle 131 Abarth per motivi commerciali. Alla Stratos rimase comunque la vittoria nel Campionato Europeo rally con Bernard Darniche e la squadra Chardonnet. Le Stratos vinsero ancora fino al 1979, con Bernard Darniche, il prestigioso rally di Monte Carlo, dimostrando ancora di poter dare filo da torcere a tutti nonostante l’auto fosse stata messa da parte della Direzione delle attività sportive del gruppo Fiat.

Dal giorno del suo debutto, nell’autunno del 1972, quest’auto, formidabile nei rally, aveva collezionato ben 82 vittorie internazionali circa, di cui 14 in gare mondiali, tre campionati mondiali rally marche e tre campionati Europei rally. Un grande orgoglio per il marchio Lancia e per tutti gli uomini che vi credettero, a partire da Cesare Fiorio. Anche se la Stratos, probabilmente, avrebbe potuto vincere altri tre titoli mondiali se fossero prevalse logiche sportive . Ma sappiamo bene che il gruppo Fiat non brillò mai nel fare le scelte giuste, e anche quando le ha fatte ha sempre mancato di lungimiranza…

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Beautiful article!