di L’Alieno
Chiaramonte ombelico del mondo per un pomeriggio. Una Macondo degli iblei della più meridionale e periferica provincia italiana (siamo sul parallelo di Tunisi) che diventa d’un tratto l’epicentro di un grande evento (“Festacrante;”) con una rilevanza internazionale. Ovvero la presentazione de “Il romanzo della vita passata”. Autore l’“inafabeto” e geniale fu Vincenzo Rabito.
Domenica sera, finita la lunga maratona pomeridiana dedicata a don Vincenzo, immaginavo proprio lui, seduto in prima fila al Teatro Sciascia, a bocca aperta, godere della sfilata di studiosi osannanti i suoi memoriali. Senza riuscire a capacitarsi di tutta questa notorietà e interesse addirittura ai piani alti della cultura. Ma come potrebbe, lui, l'”inafabeto di Chiaramonte Qulfe” aver detto cose così interessanti per tutti questi “profesoroni”? E nella sua “descraziata vita” che ci trovano di così attraente tutti questi letterati, antropologi e storici? “Ma non ànno meglio cose da fare in questa ebica?” – direbbe, forse.
“Poie questa ‘rabetete’ e questo ‘rabetese’ che butana sono? Una parrata ammentata per besogno da uno che non à antato neanche alla prima alimentare, perché la mia madre non poteva compirare neanche li quaterne”. Una lingua piena di errori e di orrori grammaticali come può diventare oggetto di studio, passione e addirittura “malattia” per tanti, anche all’estero? “Devino essere tutti pazze questi abitante di questa bella ebica – avrebbe detto, probabilmente – dove il profesore ampara da uno inafabeto e si accatta macare i libri di questo inafabeto”.
Da parte sua si sarebbe accontentato (come ha scritto) che i suoi memoriali potessero diventare, per i figli e per i figli dei sui figli, un prezioso tesoro di esperienze a cui attingere all’occorrenza. Un “manuale di sopravvivenza”, come lo ha definito qualcuno, ad uso e consumo familiare. Un originale lascito insomma, non potendo trasmettere ricchezze in denaro o altro ai figli. Invece, queste memorie sono diventate un caso editoriale, forse due, adesso.
Tutte cose di un altro mondo. Incomprensibili per il povero “Dommincenzo” del XX secolo. O forse anche no. Perché “questo figlio Ciovanne mi à detto che questa mia passata vita era una vita preziusa, che la casa edetrice di Turino questo che aveva scritto io lo potevino poblicare, e cera di potere quadagniare assaie solde…”.