di Luigi Lombardo
Dedicando il titolo soprattutto all’antico teatro comunale di Buccheri so che mi sono dato la zappa sui piedi, ma è una zappa che sa lavorare e se sbaglia va perdonata. Certo Siracusa ha uno dei più antichi (e belli) teatri del mondo: il teatro greco. Ma, passati i secoli, quel teatro non si usò più e andò in oblio. E allora la nuova Siracusa, consolidata sull’isola di Ortigia, ebbe presto un suo teatro? Si e no. Infatti non si può considerare un vero teatro quella struttura lignea che a partire dal 1735 si impiantò nel palazzo Vermexio, che nei decenni crebbe e si perfezionò, rimanendo sempre una struttura fuori contesto: bisognava costruirlo ex novo, cosa che avvenne solo nel 1897, anno di inaugurazione del bellissimo teatro comunale.

Se il capoluogo, come anche tanti centri grossi del Siracusano, vide sorgere un teatro solo dopo l’Unità d’Italia, non così fu per alcuni piccoli centri, che videro costruito assai presto un teatrino comunale, piccolo ma progettato ad hoc. Uno di questi fu il piccolo centro di Buccheri, dove la nuova classe dirigente, l’élite locale, il notabilato, volle a tutti i costi un luogo dove andare a divertirsi e insieme emozionarsi, ridere, piangere, dove conoscere il sentimento della catarsi. Insomma il teatro!
Il ricercatore Leonardo Arminio, nella sua monografia su Buccheri (“Buccheri. Dalla Contea al Principato”, p. 325), sostiene che un primo teatro fu costruito nei primi decenni del ‘700, e continua «In quel luogo divenuto luogo di incontro si esibirono notevoli figli d’arte e si esercitarono giovani dilettanti». Sostiene l’Arminio che col tempo il teatro fu abbandonato e sul suo sito, nel 1864, si impiantò il palazzo municipale. Ma non è così. Lo storico locale, di solito molto attento, ha confuso un po’ le carte, ma soprattutto i luoghi.

In effetti abbiamo notizia di un teatro comunale in data successiva al 1821. In quella data il teatro già esisteva nel luogo dove persisterà fino all’Unità d’Italia (attuale via Umberto, case della famiglia Galia).
Dopo il 1817, in coincidenza con l’entrata in vigore del nuovo ordinamento burocratico della Sicilia, nacque l’idea di costruire un teatro stabile che sostituisse quelli temporanei, costruiti in piazza, davanti alle chiese, in saloni messi a disposizione da qualche signore locale. Mentre Siracusa continuava a porsi il problema, Buccheri non solo l’aveva risolto, ma cercò nel tempo di abbellirlo, di migliorarlo.
Grazie al fortunato rinvenimento di un fascicolo archivistico, conservato nel prezioso Archivio di stato di Siracusa (grazie sempre alla disponibilità del personale) siamo in grado di tracciarne la storia a partire dal 1821. In questa data il sindaco della cittadina scrive all’Intendente della Valle di Siracusa, comunicando le condizioni di affidamento dei lavori di «restoro» del teatro comunale, attraverso l’affidamento dei lavori “in economia” a un famoso artista siracusano: niente di meno che il famoso Vincenzo Politi, che si distingueva nella pittura di grandi teloni, come la tela della passione che si montava nelle chiese il venerdì santo. Infatti il Politi era ben conosciuto nel paese montano, avendo dipinto nel 1817 la tela della passione attualmente conservata nella Chiesa Madre.

Il sindaco del tempo, don Giuseppe Ribera, insisteva sull’affidamento diretto al pittore della pittura delle scene, mentre la procedura prevedeva il pubblico incanto. Il Politi si era offerto ad eseguire le scene per onze 24, somma considerata congrua dai Decurioni. Nella sua offerta il Politi si impegnava a «lavorare due bocche di teatro sull’ossatura che si dovrà apprestare dal Comune, secondo la pianta del medesimo Politi a noi pervenuta. Dovrà inoltre lavorare tre mutazioni di quinte di tre scene per ogn’una, a colla forte, o sia acquerella per la tela […] ed in rovescio delle medesime la casa rustica. Deve inoltre fatigare il separio di tela fina con colori a sugo d’erbe […]. Deve fatigare tre mutazioni di cieli, due a sugo d’erbe, ed una a colla forte. Pittare sei prosceni a sugo d’erba […]». La somma preventivata era di ducati 253 (circa 82 onze, costo di tutto il lavoro). Dalla Sottintendenza di Noto si faceva notare all’Intendente che gli amministratori avevano trascurato un dettaglio non indifferente: per le nuove scene occorreva alzare il tetto del palcoscenico, che era stato scoperchiato, per cui si temeva l’arrivo delle piogge.

A questo punto (ottobre del 1822) entra in gioco l’ingegnere provinciale Innocenzo Alì, il quale in linea di massima approva. Così dopo un anno nel 1823 il vicesindaco comunica che l’appalto per la «riattazione» del teatro è concluso. I lavori sono ultimati. Ma il sindaco rileva delle «imperfezioni» per cui convoca (siamo nel 1824) un esperto perito capomastro di Catania, abitante a Vizzini, Giuseppe Bonaventura: egli dovrà redigere un piano di intervento che sani la situazione. Il progetto è consegnato al sindaco. Il progetto del Bonaventura viene corredato dal disegno di progetto (che qui si pubblica per la prima volta). Nella relazione del 1824 si prevede di sanare le imperfezioni di un teatro “malcostruito”. Il tecnico esibisce anche un modellino in legno del nuovo teatro.

Nel 1825 arriva un’offerta da Vizzini dal mastro Giambattista Montes che si dichiara disponibile ad eseguire i lavori, giusto il capitolato del tecnico. A seguito di una complessa gara d’appalto i lavori sono aggiudicati a Gregorio Mazzarino di Vizzini. A fine 1825 i lavori sono terminati e da qui comincia una lunga procedura di consegna e presa in carico dei lavori eseguiti. Ma arrivati al 1828 tutto è fermo, la consegna non avviene e si continua in un botta e risposta tra enti, appaltatore e collaudatore con un rimbalzo di responsabilità: nulla di nuovo sotto il sole!
La conseguenza di tutto ciò? che nell’ottobre del 1828 crolla una parte del tetto del teatro, rovinando anche i dammusi di sotto della chiesa del Carmine. Non tardano a protestare i rettori della chiesa, i quali chiedono anche un indennizzo per i danni. La notizia è interessante perché ci consente di ubicare esattamente il teatro proprio nell’area già individuata, cioè le attuali case Galia e parte della “casa della farmacista”, già Galia.

Non finisce qui. Nel 1831 si constata che il tetto da poco restaurato minaccia di crollare! Il teatro viene puntellato definitivamente. E arriviamo al 1840, quando si decide di affittare un locale per spettacoli teatrali! E il povero teatro comunale orgoglio della cittadina iblea? Diroccato in attesa di nuovi lavori di ripristino! Le rappresentazioni teatrali così riprendono perché troppo forte era la passione dei Buccheresi per il teatro. Nel 1841 si esibì per più sere la compagnia dell’Orlandini (rappresentando un’opera in prosa e musica, in un piccolo magazzino affittato da privati: nulla a che vedere col piccolo ma completo teatro comunale, ormai demolito e preda dei ratti.
Si conclude così una vicenda che rivela come la burocrazia e le inadempienze, per non dire incapacità amministrative, sono un male antico nella nostra amministrazione pubblica. Dopo l’Unità d’Italia il teatro comunale sarà trasferito nella chiesa delle Anime Purganti (l’antichissima chiesa degli Schiavi), che funzionava anche da oratorio e sede della confraternita degli artisti locali. Oggi questo locale ospita le adunanze del Consiglio Comunale, mentre è in progetto un nuovo locale per il teatro: speriamo con un destino più benigno!