Come già anticipato nell’introduzione della scorsa settimana, Vito Castagna inizia a “tradurre” alcuni canti della Divina Commedia in “agili racconti” per aiutare il lettore ad empatizzare e comprendere meglio l’opera originale. L’appuntamento sarà settimanale, di sabato.
di Vito Castagna
I CANTO
Trovai un impervio sentiero e lo seguii facendomi largo tra i rovi. I sassi e le radici fuoriuscivano dalla terra e mi accorgevo della loro presenza solo quando vi inciampavo. Il buio della notte mi avvolgeva oscurandomi la vista, tastavo l’aria col palmo delle mani, la annusavo col desidero di capire dove fossi. Purtroppo, ogni mio sforzo era inutile.
Come avvolto da onde nere, annaspavo fra gli alberi di quella foresta.
Avevo 35 anni e la gloria, l’onore e la mia parte politica mi avevano condotto lontano dalla retta via. Forse, fu tutto questo a condurmi in quel luogo di morte, lì, dove più che provare timore per la mia carne, tremavo per la salvezza della mia anima.
Continuai spinto da forze estranee che avevano accecato la speranza, mani invisibili sorreggevano il mio cammino. Poi, sbucai in uno spazio aperto. I suoni della foresta si erano dissolti e riuscii a sentire il rumore dei miei passi. Mi percepii nel vuoto, pronto a cadere in un baratro oscuro privo di vita. Fu durante quella vertigine che il sole sorse lentamente alle mie spalle. Scorsi la ghiaia bianca ai miei piedi e poi un monte, anch’esso immacolato, che si stagliava contro il cielo. Nonostante il mio cuore battesse ancora forte, mi voltai indietro verso la foresta, come il viandante scampato alla bufera.
Quando tentai di arrampicarmi sul monte, sentii echeggiare la risata malsana di una iena. Afferrai una pietra con la mano impolverata e, immobile, cercai di non far alcun rumore. Non ebbi la forza di colpirla quando, col suo ghigno luciferino, mi comparve davanti sorridendomi. Lasciai cadere il sasso e non riuscii a resistere al suo sguardo di donna, lascivo e mutevole.
Un leggero soffio di vento le sfiorava il suo pelo maculato e lei sembrava bearsene.
Mi mossi lentamente all’indietro, mentre i calzari mi sprofondavano nel pietrame. Non mi seguì, ma la sentivo che ridacchiava al sole, che iniziava a levarsi alto. Cominciai a sudare accorgendomi solo allora del pericolo che avevo corso.
Mi accasciai al suolo credendomi ormai al sicuro. Fu allora che si fece innanzi a me un leone. Trasalii, scattando in piedi al suo ruggito igneo. L’aria ne venne squarciata. Cercai con gli occhi una via di fuga verso l’alto ma una lupa, dalla gabbia toracica sporgente per la troppa magrezza, spense la mia speranza. Ella mi ricacciò indietro verso la foresta mostrandomi i suoi denti disperati e promettendomi una cupidigia insaziabile. Quella nefasta trinità mi spingeva sotto l’ombra degli alberi, ne potevo sentire l’oscuro freddo passo dopo passo. Era il peccato pronto a permeare ogni goccia del mio sangue.
Piangevo e ponevo le mie braccia tra me e loro, nel tentativo di un’inutile difesa. Quando tutto sembrava deciso, comparve un uomo. Non seppi dire se fosse un’ombra o un uomo in carne ed ossa. Disperato, mi rivolsi a lui.
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Bravissimo Vito!