di Redazione
Era il giugno del 1949, quando a Pozzallo, città a vocazione marittima e balneare che viveva già una grave crisi “per la critica decimazione dei suoi ‘Bastimenti’ per cause belliche” (scrive Grazia Dormiente), si verificarono alcuni casi di tifo, malattia infettiva sistemica provocata da un batterio: la Salmonella typhi. Nel giro di un mese i casi si incrementarono vertiginosamente fino a toccare quota 360 (di cui 155 in condizioni critiche, da ricovero ospedaliero), con previsione di aumenti esponenziali spaventosi in tempi brevissimi. Le cause della insorgenza della malattia furono dovute, con ogni probabilità, ad una contaminazione fognaria dell’acqua potabile.

Comune, autorità politiche e sanitarie provinciali del tempo cercarono di attivarsi sollecitamente per chiedere aiuto alla Croce Rossa, avere la disponibilità di fondi speciali per le opere urgenti di potabilizzazione delle acque e per l’acquisto di un nuovo efficace farmaco americano, ma non ancora disponibile in Italia: la Cloromicetina (il cui nome generico è “cloramfenicolo”, il primo antibiotico a “vasto spettro”). Però le interrogazioni parlamentari dei deputati iblei del tempo, l’on. Failla, l’on. Lupis e l’on. Guerrieri, nei confronti dell’Alto Commissario per l’Igiene e la Sanità, nel luglio 1949, sembrano attestare “la gravità del ritardo con cui erano giunti a Pozzallo i medicinali forniti dal Governo, quando medicinali dello stesso tipo pervenivano per iniziativa di alcuni emigrati ed inviati con mezzi tanto più solleciti da quelli usati dall’Alto Commissario”.

Gli ospedali di Scicli e Ragusa Ibla furono scelti e approntati come centri di isolamento per ricoverare i malati più gravi. Un momento di crisi molto delicato – come ebbe poi modo di ricordare Prof. Giambattista Xiumè, indimenticato primario di chirurgia per tanti anni nell’ospedale ibleo – perché oltre ai tanti contagiati si contarono più di una trentina di morti. Tra questi la ventiquattrenne Giovanna Stracquadanio, che perse la vita proprio nel giorno della discussione della propria tesi di laurea. Sarebbe stata la prima donna laureata a Pozzallo.

Proprio negli Stati Uniti, qualche mese prima, era stata approvata dalla US Food & Drug Administration la Cloromicetina, nuovo antibiotico dimostratosi assai efficace contro il batterio del Tifo. Un farmaco di ultima generazione prodotto dalla casa farmaceutica americana Parke-Davis. Fu così che la comunità pozzallese d’America, venuta a conoscenza dei fatti, tramite il dott. Antonino Giunta, pediatra pozzallese, si attivò immediatamente nell’acquisto di notevoli quantità del nuovo farmaco per poi spedirlo sollecitamente in Italia. Un atto di grande generosità da parte della Società dei Cittadini di Pozzallo residenti in America, con sede a New York.

Il nuovo farmaco, arrivato direttamente dagli Stati Uniti già a metà luglio, in un primo quantitativo, si rivelò miracoloso nel circoscrivere e debellare l’epidemia e fu proprio il dott. Giunta che iniziò a curare a domicilio i malati di tifo (primo in Italia) contribuendo a spegnere la diffusione della malattia e a salvare molte vite umane. La tempestività della “Society of the Citizens of Pozzallo” fu tale da anticipare lo stesso governo italiano e la sua burocrazia.
Anche l’allora sottosegretario al Lavoro e alla Previdenza Sociale di origine pozzallese, Giorgio La Pira, ebbe a scrivere alla sorella Peppina, forse un po’ rassegnato, “ho fatto quanto ho potuto”, in una lettera dell’agosto 1949 (citata dalla prof.ssa Grazia Dormiente)

Una pagina di storia commovente, poco conosciuta, che oltreimuri.blog ha scoperto in occasione della rubrica “medaglioni iblei” di qualche settimana fa, dedicata da Sebastiano D’Angelo proprio alla “Society of the Citizens of Pozzallo”. Una di quelle storie che meritano di essere ricordate a testimonianza dello storico legame, tutt’ora esistente, tra la città di Pozzallo e i suoi figli emigrati sull’altra sponda dell’Atlantico, soprattutto a cavallo tra le due guerre mondiali. Legame che si può riassumere nelle parole pennellate dal giornalista e scrittore italo-americano Gay Talese e riportate dalla stessa Grazia Dormiente:
“Io sono americano. Però la mia memoria profonda è italiana, sono italiane le misteriose cose lasciate dentro di me dai genitori, dai nonni, da quelli venuti prima di loro, nel percorso della mia vita. Io quelle cose le sento molto e le conosco poco. Io sono un uomo di transizione, perché c’è una parte di me stesso, inevitabile, che mi segue, mi condiziona, ma che io non conosco. C’è un italiano che si aggira con me, ma io non posso capirlo, non ne parlo neppure la lingua.”

Si ringrazia la prof.ssa Grazia Dormiente per averci fornito il materiale e le fonti.