di Giuseppe Cultrera
La civiltà della cava l’ha felicemente definita il prof. Giorgio Flaccavento.
Quelle larghe fenditure del paesaggio umano trattenute da sottili terrazzamenti ricamati di muretti a secco lievemente bombati, quasi a volersi affacciare sul fondovalle fitto di verde; come i balconi barocchi di Ibla – i panciuti balconi barocchi di Ibla – che si protendono sulle strette vie sottostanti, curiosi e vigili.
Il bianco calcare degli affioramenti dei muri e delle rustiche dimore è il medesimo degli opulenti o modesti edifici delle città, accovacciate sul fondo o sul sovrastante altopiano. Solo che quest’altro, estratto da cave più generose, è stato tagliato, scalpellato, inciso da mastri muratori ed esperti manovali.
Adesso è più facile alzare edifici e muri di contenimento o divisione col cemento rigurgitato da rumorose betonière. Ed il paesaggio è mutato, specie quello urbano: l’ornato seriale nelle aride verticalità dell’edilizia moderna non si nutre del calore e colore della luce, ancor meno delle ombre e dei chiaroscuri, fugati da pervasivi dispositivi illuminanti. L’uomo, senza più ombre e senza paure, appare fugace elemento complementare.
Foto di Giulio Lettica