di Giovanna Giallongo
La confraternita dell’uva è un romanzo di John Fante pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1977. È un libro che scorre via facilmente e non si risparmia nel tratteggio di una realtà cruda. Vera.
Il romanzo presenta una prosa fluida e autentica da cui lascia filtrare i problemi e le tradizioni di una famiglia italo-americana forse, a volte, troppo stereotipata. Già dalle prime pagine si avverte un’aria fatta di tensione e rabbia i cui toni e le situazioni che si innescano portano alla ribalta, fin da subito, il famigerato Nick Molise. Ma chi è costui?
Personaggio granitico, dispotico, terribile. Pessimo padre, pessimo marito, ottimo muratore fin troppo orgoglioso delle sue opere edili, uomo dedito al vino e alle donne tranne che alla sua: lui è Nick Molise, quell’uomo da cui una famiglia intera cerca di stare alla larga ma che, in fin dei conti, non ci riesce poi così tanto. La moglie inneggia al divorzio, stanca ormai dei continui tradimenti subiti; i figli sono in continua lotta soprattutto con sé stessi: tra l’incudine della figura paterna che, anche se in malo modo, li ha cresciuti e il martello della frustrazione.

Troppi sogni infranti a causa della cecità morale di un padre che altro non vedeva se non il fondo di un bicchiere e le curve irresistibili delle donne. Troppa solitudine sollecitata dalla paura per quel padre che si era fatto sordo dinanzi al richiamo dei sentimenti buoni, protettivi. Semplicemente paterni.
Nick Molise è un catalizzatore di sentimenti estremi che generano rabbia, rancore. È l’incarnazione dei vizi capitali che trova posto e comfort in un gruppetto di amici che funge da portale magico per raggiungere un’altra realtà, una dimensione in cui non esistono obblighi verso moglie e figli. Dunque, cosa resta di buono in tutto ciò?
Henry Molise – il figlio primogenito scrittore allontanatosi da giovane dal nucleo familiare – ritorna fisicamente nei luoghi della sua infanzia ripercorrendo strade note ormai dimenticate, vivendo momenti quasi surreali con un padre che, al culmine della vita, mostra delle debolezze: crepe profonde sui muri apparentemente incrollabili del suo Ego. Per la prima volta, Henry è costretto a fronteggiare un aspetto paterno che non avrebbe mai pensato di vedere: la sua umanità. Un uomo forse marcio per la massima parte ma che conserva delusioni e speranze che sanno di semplicità e innocenza. Henry rivaluterà il padre ricostruendo approssimativamente un rapporto che ormai è destinato ad essere consegnato alla storia senza grandi miglioramenti; subirà un’involuzione quasi per osmosi e un cedimento irrazionale che altro non richiama se non il marchio genetico sociale.
L’intero gruppo di lettura è stato coinvolto nel viaggio all’interno della famiglia Molise. Apprezzata sicuramente da tutti la scrittura agile, secca, ironica e priva di schemi dell’autore, ci si è divisi invece sulla caratura e l’originalità complessiva dell’opera: nulla di memorabile e distante dal “capolavoro” per alcuni, notevole per altri. I temi che affronta Fante, anche se conditi da ironia e schiettezza, hanno acceso lo spirito critico del gruppo soprattutto sull’aspetto psicologico del protagonista principale. Un vero e proprio ventaglio di opinioni variopinte che rende sempre interessante e godibile l’incontro mensile.