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di Christian Pancaro

A Palermo una delle feste più importanti del mese di settembre era quella dei Santi Martiri Cosma e Damiano, festeggiati dai pescatori delle contrade marinare del Borgo, di San Pietro e della Kalsa. Erano venerati fino ai primi anni ’70 nell’omonima chiesa, che si trova nell’attuale piazza Beati Paoli al Capo, adesso, invece, nella chiesa di Sant’Ippolito, dopo che la prima è stata chiusa per inagibilità.

Santi Cosma e Damiano
Interno della chiesa di Sant’Ippolito (foto: Palermo Welcome)

Lascio la parola al caro Pitrè che ci descrive la tradizione del “Viaggio” alla chiesa dei Santi e delle pittoresche bancarelle di frutta e di torroni allestite nella piazza:

«La Chiesa si riempie di visitatori e di devoti. Di fronte, in fondo, dietro l’altare maggiore, sono i santi martiri, uniformi di aspetto, di costume, di atteggiamento, con tuniche fino ai piedi, corone al capo e palme di martirio in mano. Nella navata sinistra è la bara che li attende; nella destra attaccate alle pareti, e tutte in disordine, tabelle votive, di miracoli ottenuti da infermi, da feriti d’ogni genere e di accidenti stranissimi […].
Fuori di chiesa lo spettacolo è pittoresco non solo pei venditori de’ Santi in pasta, di confetti e torrone, con le loro baracche molto primitive, improvvisate, con tre grandi lenzuola da letto; non solo per gli spacciatori di giocattoli bambineschi in legno, in creta, in latta,  in piombo, ma anche e più per i nuovi e bei frutti d’inverno che si trovano in mostra e in vendita per la prima volta […]. Vendono tutte queste curiosità due tra le tante botteghe antiche, parate a festa […].
Sulla piazza è gran confusione: gente che s’accalca innanzi la chiesa facendo a gomitate per entrare: mendicanti, uomini e donne, ciechi, cionchi più o meno dinoccolati ,che ti ripetono malinconicamente all’orecchio: “E cunsiddirati lu puvireddu uorvu, divutieddi! Cà cu’ perdi la vista perdi la vita! – Jurnata di grazi, boni cristiani: sugnu senza vrazzu, e un mi pozzu affannari lu pani!” Venditori che vociano: Va accattativillu a S. Cosimu, un guranu è! – Cabbasisi ca su’ di Trapani,cabbasisi!».

Santi Cosma e Damiano
Alcuni bancarelle presso l’antica chiesa dei Santi Cosma e Damiano, presso piazza Beati Paoli

Caratteristica principale di questa festa è un particolare biscotto antropomorfo che riproduce in calco la figura dei due Santi martiri. Son fatti in pasta di miele dalla consistenza dei mustaccioli e ve ne sono di varie dimensioni e un tempo se ne trovavano pure colorati. Si possono trovare ancora oggi al Capo davanti la chiesa parrocchiale di Sant’Ippolito dove, dal 1972, sono custoditi i Santi e a Sferracavallo dove si svolge l’atra grande festa marinara.

Anticamente nessun tornava a casa, dopo aver fatto il consueto “Viaggiu” alla chiesa senza questo biscotto ed era obbligo che lo “zitu” regalasse alla “zita” il “Sancosimu“,così si chiama il biscotto, altrimenti detto “Pupiddu Nanau“. Anticamente assumevano anche altre forme, tra cui di donna con un lungo vestito e le mani ai fianchi e di giovanotto anch’esso elegantemente vestito che sicuramente voleva rappresentare una coppia di fidanzati da cui forse trova origine la consuetudine di donarlo alla propria amata.

Santi Cosma e Damiano
I biscotti Sancosimu

La processione dei Santi era “tra le più speciose del nostro calendario popolare” per il fatto che i simulacri venivano condotti di corsa, tanto che divenne proverbiale “la Cursa di San Cosimu“. Il Marchese di Villabianca scrive:

«Vien portata la baretta de’ due Santi da marinari, per privativa che tien loro nazione, e in alcune stazioni di strada la si fa correre con tanta furia che sembra volar per l’aria. Il popolo le corre appresso coll’istessa voga e vi fa voci in corso e grida altissime di evviva, viva S. Cosimo».

Ci sono diverse ipotesi sull’origine di questa processione: c’è chi afferma che ebbe origine durante un’epidemia di peste nel XVI sec. Quando i feretri vennero condotti per le strade cominciarono a compiere miracoli e per aumentare i prodigi si decise di trasportarli di corsa. La vera motivazione sta nel fatto che i Santi venivano portati nelle borgate marinare della città che erano parecchio distanti fra loro. A causa dell’itinerario molto lungo, i portatori acceleravano il passo. 

Le statue cinquecentesche dei Santi martiri

Nel primo pomeriggio del 27 settembre nella piazza Beati Paoli conveniva una marea di popolani e di pescatori dai rioni e dalle borgate più disparate della città per attendere l’uscita delle due belle statue cinquecentesche. Fino al 1860, ci rammenta il Pitré, uscivano nelle prime ore del mattino e si portavano dapprima al Borgo S. Lucia e poi nei restanti rioni di San Pietro, Castellammare e Kalsa. Dall’Unità d’Italia in poi venne la festa venne sospesa dalla Prefettura per motivi di ordine pubblico.

Già in passato le autorità ecclesiastiche e civili avevano tentato di estirparne l’usanza ma la popolarità della quale godeva non aveva permesso di attuare questi provvedimenti. Sicché, dopo 31 anni di interruzione, nel 1891 venne ripresa per la gioia dei pescatori panormiti. Quindi i Santi uscivano dalla loro chiesa del Capo e dopo tre soste sotto tre “dosselli” (baldacchini stradali) della via Giojamia, raggiungevano la Cattedrale dove rendevano omaggio alla madre di tutte le chiese della città.

Dopo aver fatto visita alle suore della Badia Nuova, percorrevano il vecchio perimetro della cinta muraria, quindi via Papireto, Piazza Marmi, via Volturno, via Cavour, il rione San Pietro-Castellammare dove venivano accolti con giubilo. Poi sempre di corsa, percorrevano la Cala e il Foro Italico per entrare trionfalmente, attraverso porta dei Greci, nella Piazza Kalsa.

L’attuale processione a Sferracavallo (foto: La Repubblica-Palermo)

Lì la gioia si trasformava in delirio. I Simulacri venivano fatti ballare e girare di continuo a suon di musica, condotti per cortili e viuzze in una baraonda festosa e catartica. I conduttori della “Bara” andavano scalzi, vestendo pantaloni e camicia bianca, fascia rossa e fazzoletto di eguale colore legato in testa. Precedeva i Santi una lunga processione aperta dalle due congregazioni dei Barbieri e dei Santi Cosma e Damiano e da una lunghissima teoria di ragazzi e bambini vestiti alla maniera dei portatori, che recavano delle brocche piene d’acqua la quale bocca era chiusa da un mazzetto di fiori. Quest’acqua, secondo una credenza popolare, dopo essere stata messa a contatto con i Santi, si distribuiva e si riteneva miracolosa per qualsiasi male fisico.

A mezzanotte lo scampanio della chiesa annunciava il rientro dei Santi dopo la lunghissima processione, forse stanchi dalle continua corsa, dalle ballate, dalle brocche e dai fazzoletti strofinati. Adesso potevano concedersi il meritato riposo. Avrebbero ringraziato il popolo donando piogge abbondanti dopo mesi di siccità.

(foto: La Repubblica-Palermo)

Oggi i Santi non escono più da circa ottant’anni e ricevono nel loro altare gli omaggi e le preghiere dei numerosi devoti che durante l’anno e principalmente il giorno della festa accorrono. È comunque possibile vivere le medesime emozioni qui descritte l’ultima domenica di settembre nella borgata di Sferracavallo.

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