di Giuseppe Cultrera
Era tra le più note in Sicilia: arrivavano mediatori e compratori dalle principali città, perfino da Palermo. Durava tre giorni (11/13 giugno) e occupava buona parte delle strade e piazze dell’abitato.
Fino ai primi decenni del novecento si svolgeva nella via Roma, Corso e vie adiacenti; solo in seguito si spostò nel quartiere San Vito, attorno alla Chiesa.

L’11 aveva luogo la fiera degli ovini. Ma più importante, per la maggiore partecipazione di venditori e acquirenti, era quella dei giorni successivi destinata a equini e bovini; occupava oltre agli spazi attorno alla chiesa (riservati agli equini) la via Manfredi, la parte superiore della via Gulfi, via Nicastro, via S. Vito, via Fiera (che, ovviamente, traeva denominazione dall’utilizzo), parte della via Guastella e strade limitrofe.

La gran parte dei bovini entrava in paese dalla Fontana e attraverso la via omonima, arrivava in Piazza e dalla via San Paolo raggiungeva una delle vie sopraindicate destinate a spazio di contrattazione.
Era di grande effetto scenico: i gruppi di bovini procedevano guidati dai garzoni, muniti di grossi bastoni, attraverso il percorso stabilito; seguivano muli e cavalli bardati a festa e a volte cavalcati dai possidenti; un vocio assordante si mescolava al suono dei campanacci delle vacche e al ritmo cadenzato degli zoccoli sul basolato.

Ai lati la gente assisteva a questa parata, incuriosita e divertita. All’una pomeridiana lo sparo di tre bombe annunciava che “trasia a fera”.
Esibizione della merce, contrattazione, vendita o acquisto, avevano un loro colorito rituale. Si esplicitavano sostrati culturali che non necessitavano, a volte, della parola o del segno visibile di consenso; altre volte esplodevano in eccesso di comunicazione verbale e gestuale.

I giovanotti, muniti di bastone, andavano a “guardare la fiera”, a curiosare tra le bancarelle che esponevano merce e materiali relativi al lavoro agricolo, assistevano divertiti alle compravendite. A sera la maggioranza del bestiame veniva condotta fuori dal paese.
In Piazza la Banda in onore dei firiuòti eseguiva un concerto. Costoro poi, tranne pochi che utilizzavano i fondachi o l’unico albergo, alloggiavano in case private. Il mattino successivo, molto presto, il bestiame veniva riportato in paese; si concludevano gli ultimi affari e consegne.

Nei giorni a seguire, un soffice tappeto di escrementi copriva le vie della fiera. Un provvidenziale temporale estivo, prima o poi, avrebbe ripulito tutto.
3 Comments
Esposizione esauriente e chiara supportata da bellissime immagini che fanno rivivere quei tempi da cui scaturisce la nostra cultura e la nostra civiltà
“A Fera ri Santu Vito” è uno dei ricordi indelebili della mia infanzia, che risalgono alla fine degli anni 40 e l’inizio degli anni 50. La fiera era attesa anche dalla mia famiglia di fabbri per la grande mole di lavoro. “A Putia” era in via Conte Manfredi di fronte “a Ciancata.” In quei 3 giorni di fiera “a putia” era assediata da “firiuòti, sinzali” cavalli muli e asini per essere ferrati o marchiati a fuoco. Ma per la nostra casa in via Gulfi, sotto l’orto delle monache del Carmelo, era un problema di sicurezza e di igiene. Le bestie erano così stretti che spesso entravano in casa e le mi sorelle “scantati” e presi dal panico si rifugiavano nella “villa” sottostante. A sistemare le cose e “convincere” le bestie ad uscire ci pensava il nostro nonno Vito già ottantenne che con poche gesti ed il bastone li cacciava fuori. Sui “friuòti” se ne dicevano di tutti colori. Chi diceva che avevano bisacce pieni di soldi, che diceva che molestassero le donne, alcuni erano ritenuti dei mezzi maghi-stregoni, altri addirittura dei rapitori di bambini. Realtà, fantasia, mito? forse.
Ero piccolo 3 anni… Anno 1955….mi ricordo gli animsli a S. Vito