di Giuseppe Cultrera
Il contadino alzò il viso sudato e guardò stupito verso la marina. Un brulichio di uomini armati copriva la spiaggia: alcuni ancora erano sulle imbarcazioni, altri si avviavano lesti verso l’interno.
«Mamma mia i greci» urlò e saltato in groppa all’asino, abbandonando zappa e bisaccia, lo incitò ad andare.
«Corri asino mio, corri che qui si mette male». E giù a spronarlo con le gambe e col punteruolo.
L’asino arrancava per la polverosa trazzera con tanto di lingua e quel peso che si faceva sempre più insopportabile. A un certo punto esausto volse il capo al padrone: «Tu dici che siamo nei guai. Ma sono io che ti porto in groppa!».

«Certo» fece il contadino.
«E se i greci ci acchiappano chi porterò in groppa?»
«I greci», rispose lesto il contadino.
«E che mi faranno i greci?»
«Quello che ti faccio io, penso»
«Allora» ragliò l’asino fermandosi «se per me non cambia niente, e asino dovrò continuare a essere, perché correre a perdifiato? Fatti tuoi. Peni e bbeni cu ll’ha si teni!»
E si piantò lì. Mentre dalla pianura camarinese l’orda dei nuovi conquistatori si approssimava minacciosa.

A metà del secolo scorso la presenza dell’asino nella vita quotidiana, specialmente del contadino, era ancora abbastanza frequente: come bestia da soma o da lavoro ma specialmente come cavalcatura. Ma nel cinquantennio precedente e nei secoli ancora prima era stata precipua la sua presenza come attivo “compagno” di fatica. Il Guastella, in un icastico passaggio delle sue ‘parità’, ricordava che la morte dell’asino, per il contadino, era un tragico evento. La piangeva più di quella della moglie: che sarebbe stata facile sostituire con un’altra, anche più giovane e forte, mentre per ricomprare l’asino ci volevano un bel po’ di soldi, che spesso non possedeva.

Testardo come un asino si dice ma anche mite come l’asino. Inoltre, gli si attribuiva, forse per via di questa sua introversione, una durezza di comprendonio: difatti si dava dell’asino a chi non brillava per intelligenza.
Insomma, non ha avuto grandi simpatie nel passato. Adesso che è del tutto sparito dalla vita quotidiana dei lavoratori della terra e stentatamente si ricostruiscono allevamenti (per l’utilizzo del prezioso latte d’asina o per scopi turistici) ci accorgiamo che la sua discreta presenza era un tassello vitale del paesaggio umano. Abbiamo anche perduto alcune tipologie (quella pantesca o asino di Pantelleria, ad esempio è stata dichiarata estinta dal WWF) e altre, autoctone siciliane, si recuperano o mantengono attraverso l’Istituto per l’Incremento Ippico (la razza ragusana è tra queste). Rivederlo nei campi o negli allevamenti è una piacevole sorpresa.
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Suggestivo