di Giuseppe Cultrera
Quella di Palazzo Montesano, a Chiaramonte Gulfi, è una mostra e insieme un museo, o meglio un’installazione postmoderna destinata a divenire permanente: la difficoltà a definirla sta non nei contenuti ma nel soggetto che li ha realizzati, l’artista. Che si chiama Sebastiano (per tutti Iano) Catania: E che si definisce artigiano, non artista. Ebanista, puntualizza. Cioè antepone alla creazione artistica il rapporto umano con le persone e la materia; e pertanto l’etica all’estetica.
A me piace definirlo poeta: uno che, non solo crea ma racconta.
Il poeta Catania, per oltre sessant’anni, ha creato e raccontato centinaia di storie (alcune le leggerete nell’allestimento) col suo personale “verso” ribadendo, a chi ha voglia di ascoltarlo, il suo rapporto con l’arte e con la materia oggetto della sua creazione, il legno.

E in questo percorso, allestito dal figlio Raffaele nel 2017 nel palazzo Montesano, sede di altri cinque musei, troviamo anche il racconto di quando a Chiaramonte c’erano decine e decine di botteghe artigiane (falegnami, fabbri, imbianchini-pittori, lattonieri, conciapelli e calzolai, putiari), presenze che animavano spazi dell’abitato e del vissuto quotidiano. In un rapporto di mutualità e cooperazione, mista a diffidente competizione, che faceva interagire uomini e utènsili – preziosi e rari in un’economia ancora elementare con preminenza della manualità – attraverso i cancelli o le porte finestrate dei dammusi casa e putia.
Non si buttava via niente: i circieddi del falegname o gli scampoli viaggiavano verso le altre botteghe, incrociando altri scarti o frammenti che esaudivano momentanei e precari assemblaggi e rattoppi; o le richieste di vicine e ragazzi (ricordate i carramatti, le spade, i fantasiosi giocattoli della nostra fanciullezza: da lì venivano, non dal Toys Market o da Amazon).

Un giorno il maestro Giovanni De Vita, la cui bottega era a due passi da quella di Catania, doveva spedire a un’importante mostra di Parigi un dipinto raffigurante San Paolo (oggi esposto nella Pinacoteca) e siccome parliamo di circa cinquant’anni fa, bisognava creare l’imballaggio adatto: la soluzione nella bottega e mastrìa dell’amico Iano Catania!
E non era un caso isolato. Poco prima era stata la volta del lattoniere, per il foglio di lamierino zincato su cui dipingere la Madonna di Gulfi destinata a un’edicola votiva del vicino cortile; e anche questa volta, oltre al lattoniere, era intervenuto il falegname per il telaio, il muratore scalpellino per azzizzare l’icona corrosa dal tempo e dalle sbandate dei carramatti, il ferraro per la grata di protezione, e quanti altri non so. Di certo so – me l’ha raccontato con ironia e compiacenza il maestro Catania – che il tutto, spesso, dedotte le spese vive era gratis et amore.

Il lattoniere, per esempio, era Saro Bentivegna, (bottega a metà via Corallo), altro personaggio casa e putia, fascinato dalla memoria e strenuo difensore dei frammenti e valori del tempo andato, e alcuni li conservava in un angolo della bottega, per chi aveva voglia di sentirne il racconto antico, condito dal ritmico battere del martello.
E c’erano pure il sarto, il ciabattino, il fotografo, il pingisanti…
La gran parte come i protagonisti dell’Antologia di Spoon River – non dissimili per percorsi di vita e tenace attaccamento a lavoro, famiglia e valori – dormono sulla collina. La polvere del tempo intrisa di memorie e vissuti si è in parte depositata nella vecchia bottega di Iano Catania.
Oggi, lui stesso ci invita (attraverso l’audace ed essenziale allestimento del figlio Raffaele a Palazzo Montesano) a sbirciare dentro la sua bottega tra attrezzi, scampoli di lavori, saggi e realizzazioni, per leggervi, non del tutto sopraffatte dalla polvere del tempo, le cento storie di questa antica e orgogliosa comunità intrisa di etica contadina e religioso attaccamento ai valori del lavoro e della famiglia. Buona visione!

Banner: Foto di Vincenzo Cupperi