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di Luigi Lombardo

Nelle complesse cerimonie che ancora caratterizzano il carnevale popolare (non quello spettacolare e oleografico dei carri allegorici nella forma attuale) si insinuano, inaspettatamente, elementi “funerei”, costituiti dalla apparizione di particolari e significative maschere dai tratti inquietanti e oscuri, appunto funerei.

Tra tutti spiccano le maschere che danno vita al processo e morte del carnevale, bruciato in piazza e compianto da una folla di devoti, tra cui si distinguono la mamma, il re dei diavoli e una folla di ubriaconi che salutano il loro “re” tra pianti, risa e balli vari.

A mezzanotte una bomba collocata dentro la testa scoppia e fa volare in aria il capo del Re, che per almeno un mese (il tempo del carnevale) ha scorrazzato in lungo e in largo. Durante questo tempo appaiono sulla scena vari tipi di diavoli, come lo “Zzuppiddu”, che fa la sua comparsa il giovedì che precede il giovedì grasso, chiamato perciò u “Iovi ro Zzuppiddu”: in suo onore si mangia e si beve perché “Ppo Iovi ro zuppiddu cu nun si Càmmira e peiu pir-iddu” (il giovedì dello zoppetto, guai a non mangiare carne).

Questo diavolo che ha le forme di un caprone, è uno dei più famosi diavoli della tradizione popolare, in quanto i diavoli sono i custodi e signori dell’altro mondo, il rovescio del nostro, quello che i latini chiamavano Mundus riversus.

In questo giorno il mondo dell’aldilà diviene l’aldiquà, per cui in loro onore si organizzava una vera processione dai tratti chiaramente oltremontani chiamata “lu ballu di li zuppiddi“, cui partecipavano altri diavoli e diavolesse, satiri, pezzenti, che si accompagnavano a streghe e vecchie ruffiane, chiamate li fimmini nnuocci (cioè donne senza occhi), ricoperte di stracci, pelli di capra e lunghi capelli di stoppa.

Questo strampalato gruppo di figure dell’aldilà inscenavano nelle piazze il cosiddetto “ballu di li zzuoppi e zzuppiddi”, un ballo dai caratteri e dalle movenze invertite, un non-ballo, che rovesciava l’armonia delle danze tradizionali: tutto al suono monotono di una brogna e di un lugubre tamburo: il non-mondo prendeva il sopravvento. Di tutto questo è rimasta l’espressione “pari lu ballu di zzuoppi e zuppiddi”, per indicare un ballo popolare cui le signore non si mescolano.

Ma l’elemento oscuro, funereo nell’allegria generale, nel corteo bacchico, è costituito da una maschera inquietante e malvista da tutti che va girando l’ultimo giorno di carnevale per le strade percorse dalle maschere: si tratta della “veccia ca fila” (la vecchia che fila), che porta in mano una rocca e un fuso, preannunciando la morte, poiché ella stessa è la morte, la morte di Carnevale e la fine di ogni eccesso.

La morte di Re Carnevale in Abruzzo

Alla sua comparsa decine di ragazzi la inseguivano per strapparle il fuso e porre fine al destino e alla fine che esse rappresentavano. Ma ella sfugge (in genere è un prestante giovane), unendosi al corteo carnevalesco, divenendo così a suo modo un personaggio del corteo mascherato.

Troveremo la “veccia ca fila” nel periodo della Quaresima, quando domina e scorrazza per le strade.
Tutti gli elementi “funerei” e macabri del carnevale si legano dunque al lungo periodo quaresimale, quando compaiono altre maschere a loro volta funeree: lo preannunciano, anche se alla fine hanno la peggio nel generale baccanale carnevalesco.

La vecchia che fila è un chiaro richiamo alle Moire greche

Un detto popolare annuncia l’arrivo della Quaresima e si ripete con mestizia la mezzanotte del martedì grasso:

Niesci tu puorcu manciuni,
trasi tu sarda salata,
e-ppuoi vieni tu angelica fata

Cioè esci tu porco crapulone, entra tu sarda salata (la Quaresima), ma poi vieni tu angelica fata (la Pasqua).
Ma come nel carnevale si insinuano elementi funerei e quaresimali, così nella Quaresima si insinuano elementi semi-carnevaleschi. Lo possiamo rilevare in un particolare rito che a metà Quaresima si svolgeva ad Augusta.

Qui il ventesimo giorno della Quaresima si è soliti spezzare il rigore del periodo con il gioco delle uova e altri divertimenti, che trascinano insoliti consumi alimentari. 

Bruegel il Vecchio: Lotta fra carnevale e Quaresima

Il gioco – scrive lo storico locale Sebastiano Salomone – consiste nel mettere a prova la resistenza di un uovo a colpi di un altro. Prima si impegna la sfida tra due. Uno dei ragazzi dice all’altro: “Cu me pizzu ti rumpu u pizzu, u culu e u ciancu”; “Tastamu” risponde lo sfidato, e allora si scambiano l’uovo e lo fanno battere leggermente contro i denti incisivi per sentire la consistenza della scorza. Chi dubita del proprio allora soggiunge: “Cu to’ ccà”, vuol dire che vince l’uovo più forte. Spesso si combinano delle insidie, tenendo pronte due uova e usandole con destrezza nell’un caso e nell’altro. In siffatta maniera si giunge a passare ore del giorno e ci sono dei fortunati che portano a casa un gran numero di uova rotte, per farne la frittata di mezza Quaresima

Ma il rito più caratteristico era, sempre ad Augusta, quello della “Serramonica“, che si svolgeva durante la stessa giornata di mezzaquaresima. Fin dalla mattina si vedeva andare a spasso per la città un’orribile vecchia, che minacciava di tagliare la testa con un falcetto. Essa penetrava nelle case, minacciando e raccogliendo uova (simbolo di vita e di futura rinascita) e altri regali, distribuiti ai ragazzini.

La Serramonica

Di questo rito parla diffusamente il Pitrè in Spettacoli e feste popolari siciliane (Palermo, Il Vespro, 1978, p. 207):

Il tema vita vs morte è fin troppo chiaro nella stessa vecchia che se falcia i vivi, reca doni ai piccoli che sono la vita futura: è così che si instaura il tempo della rinascita, che culminerà con la Pasqua.

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