di Giuseppe Cultrera
I Chiaromonte, per oltre due secoli, furono tra i protagonisti della storia di Sicilia. Normanni, provenienti dalla Piccardia, scesi alla conquista dell’Italia meridionale nel XII secolo, si erano insediati in Sicilia al servizio di re Ruggero.
Divennero, nel secolo successivo, Conti di Modica (e anche signori di Caccamo, Racalmuto e Favara) con Manfredi I. Rifondatore, tra l’altro, della città di Chiaramonte. Nella seconda metà del Trecento con Manfredi III, ammiraglio del re e tessitore della politica siciliana, raggiunsero la massima potenza. Manfredi sarà uno dei quattro vicari della figlia minorenne di Federico IV, Maria. Sarà, anche, feudatario della Chiesa, nell’isola di Gerbe e con le mani in pasta in commerci e rendite. Emblema del loro potere fu, a Palermo dove risiedevano, lo Steri, grandioso palazzo fortezza (oggi sede universitaria delle facoltà umanistiche).

Nel 1389, al culmine del potere e della popolarità (rappresentava nella aristocrazia guerriera il partito latino, quello che sognava un regno di Sicilia indipendente), riceve la richiesta della mano della figlia Costanza, da Margherita di Durazzo reggente del re di Napoli Ladislao. Manfredi accetta con entusiasmo e spedisce la figlia dodicenne, con balia al seguito, assieme a quattro caravelle colme di doni e derrate a Gaeta dove il coetaneo re bambino è assediato dalle truppe di Luigi II d’Angiò che rivendica, pure lui, quel regno. Ma la situazione sembra mettersi per il meglio con l’elezione del papa Bonifacio IX, di origini napoletane e amico dei Durazzo, pertanto ostile all’altro pretendente francese, fedele all’antipapa avignonese, Clemente VII.
Così l’anno successivo verrà celebrato, in pompa magna, il matrimonio tra i due sovrani bambini. Che durerà meno di tre anni.

Perché in Sicilia le forze in campo sono cambiate. Buona parte dei baroni fedeli al partito latino, del quale erano rappresentanti i Chiaromonte e i Ventimiglia, si stanno avvicinando al partito catalano facilitando lo sbarco dell’infante Martino d’Aragona, che ha sposato l’erede al trono Maria; per colmo Manfredi Chiaromonte scompare in questo difficile momento e il successore, Andrea, è travolto da intrighi e tradimenti. Arrestato e sbrigativamente processato, viene decapitato a piazza Marina dirimpetto al palazzo avito. Tutti i beni della potente famiglia siciliana vengono confiscati.
Altri intrighi di corte, nel traballante regno di Napoli, sacrificano Costanza Chiaromonte sull’altare della real politik: Ladislao ottiene dal papa l’annullamento del matrimonio che verrà surrogato da un altro più vantaggioso politicamente ed economicamente.

E qui forse è il caso di passare dalla arida narrazione storica alla colorita versione popolare. Perché Costanza è figura di spicco nella memoria popolare sia siciliana che napoletana, tanto amata quanto ammirata.
È una domenica mattina di inizio luglio del 1392. Nella cattedrale di Capua in prima fila stanno i due giovani sposi per “sentirsi” la messa, attorniati da dignitari e notabili della corte, compresa l’arcigna suocera Margherita. Officia il vescovo. Che, con fare misterioso, prima di iniziare la cerimonia religiosa dà lettura di una bolla papale. Il matrimonio tra il re e la regina è annullato data la minore età dei contraenti. Costanza sobbalza dallo scanno e cerca conforto nello sguardo del marito che sta impassibile ad ascoltare assieme alla madre, per niente sorpresi dalla cosa (lo capirà dopo che a ordire l’inganno sono stati loro). Ora il vescovo, altro complice, si avvicina alla giovanissima sposa e le sfila l’anello nuziale per restituirlo al re Ladislao.

Privata di tutti i beni paterni (le quattro galee colme di preziosi e derrate, più 20.000 ducati d’oro, sull’unghia, che erano serviti a risollevare le esangui casse reali) viene relegata, con la sola fedele nutrice, in una modesta abitazione. La regina bambina però non perde né sorriso né speranza. Assistita e coadiuvata dalla nutrice passa il tempo proficuamente tessendo e ricamando, soccorrendo i più bisognosi, elargendo loro aiuto e conforto. E il popolo napoletano che l’ha amata fin dal primo momento le manifesta affetto e stima.
Forse per questo madre e figlio, presi da comprensibile imbarazzo, decidono di darle opportuna sistemazione. Con tremila ducati d’oro di dote, il re la dà in sposa ad Andrea da Capua, conte d’Altavilla, suo giovane e valoroso vassallo. La sposa bambina china la testa al volere del suo re ma non senza aver mostrato l’alterigia dei Chiaromonte e l’ironia delle siciliane. Al marito che premuroso l’aiuta a salire in groppa al cavallo bardato a festa, con voce salda e forte, perché sentano tutti, dice: «Voi siete il più fortunato cavaliere del mondo poiché avete per concubina la moglie legittima del vostro re!»

La regina madre e il re, si racconta, stizziti rimasero in silenzio, mentre la fanciulla spronava la cavalcatura che apriva il corteo nuziale.
Altrettanto sarcastico, nella sua patria, fu il commento alla triste vicenda della regina bambina, ingannata, tradita e umiliata:
Viola viulinu
cunsidira la nostra paisana!
Lu Papa, ca la sciòisi di Rrigina
ci rissi: Figghia mia fa la buttana.

Costanza visse il resto della vita in anonimato, nel feudo del marito, al limite orientale del regno di Napoli nella città di Riccia; ebbe due figli e scomparve, due anni dopo il marito, nel 1423. L’affetto del marito e dei figli, assieme a quello della popolazione, non fugò mai la tristezza e la solitudine dalla vita della sposa bambina. Regina per soli tre anni, privata dell’affetto e sostegno del padre troppo presto e, subito dopo, da quello degli altri famigliari inghiottiti da faide e lotte di potere nella sua Sicilia.
Riposa a Riccia accanto al conte di Capua, suo sposo, in una semplice cappella funeraria.
Il suo nome si legge pure nella parte bassa della monumentale tomba di Ladislao, nella chiesa di S. Giovanni a Carbonara, assieme a quello delle altre due mogli. L’infelice, crudele e visionario re Ladislao, morto a 38 anni col sogno di conquistare l’Italia e farne un unico grande regno, sovrasta l’insieme scultoreo con cupa solitudine.

Foto: Wikipedia – Banner: Palermo, Palazzo Steri, soffitto ligneo, dipinto allegorico, secolo XIV.
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Ottimo