di Giuseppe Schembari
“L’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare”, amava dire Giorgio Armani.
È proprio il concetto che viene in mente quando si pensa alla storia del marchio Lancia. Quel “made in Italy” di cui l’iconica Fulvia coupé seppe rappresentarne un momento importante: non solo per la tecnica raffinata, ma per aver rappresentato un modo di essere, nella classe e nello stile, dell’Italia degli anni ’60, soprattutto tra la gioventù sportiva e amante della vita.
La “fulvietta” rappresentò anche l’inedito fenomeno dell’auto sportiva che piaceva soprattutto alle donne e destinata a diventare un fatto di costume. Non a caso il suo nome è declinato al femminile, come per le sorelle maggiori Flavia e Flaminia (e c’erano state anche Appia e Aurelia), ma alla Fulvia Coupé, rispetto alle altre, fu concesso di indossare un “abito” più frizzante e giovanile.

Ma cominciamo dall’inizio. Viene presentata nel 1965 al Salone dell’auto di Ginevra con un pianale accorciato di 15 cm rispetto alla berlina. Il suo disegno si deve alla matita del designer Piero Castagnero che riuscì a conferirle una spiccata personalità grazie ad una linea armoniosa, leggera e filante, caratterizzata da una cintura molto bassa ispirata (a suo stesso dire) ai mitici motoscafi Riva. La coda, leggermente concava e tronca, con i gruppi ottici ben disegnati, sembra l’elemento più caratteristico del suo design; mentre il frontale, con la presa d’aria trapezoidale e i doppi fari, riproponeva lo stesso stile della berlina declinato in maniera più aggressiva.
Anche l’interno era all’altezza della tradizione Lancia: elegante e raffinato. I sedili, rivestiti in panno (a richiesta in similpelle), si regolavano fino al ribaltamento totale. La plancia era rivestita in similpelle, mentre il pannello in legno opaco ospitava la strumentazione di disegno moderno e sportivo (due grandi strumenti circolari e tre più piccoli) oltre che da una serie di spie luminose. A destra della strumentazione, dopo gli interruttori e prima della scritta “Fulvia”, era collocato l’orologio elettrico. Sotto la leva (lunga) del cambio consentiva l’innesto preciso delle marce, ma con un’escursione un po’ troppo ampia. A completare Il volante a due razze in legno e acciaio. La dotazione degli accessori comprendeva l’accendisigari, il cassetto portaguanti e la maniglia di appiglio per il passeggero. I vetri posteriori si aprivano a compasso mentre i deflettori anteriori erano fissi. Previsti pure gli attacchi per le cinture di sicurezza.

Il motore era un 4 cilindri a V stretto di 12⁰ inclinato a sinistra di 45⁰, distribuzione a doppio albero a camme in testa di 1.216 cm³ e un’alimentazione garantita da due carburatori a doppio corpo. La testa era in lega di alluminio con sedi valvole riportate e monoblocco in ghisa speciale. Potenza massima 80 CV a 6000 giri. La trazione anteriore e i freni a disco sulle quattro ruote completavano la dotazione tecnica della sportiva torinese.
Ottimo il comportamento e la tenuta su strada. Grazie alla trazione anteriore e al peso ripartito per 2/3 sull’anteriore, si dimostrava estremamente maneggevole e anche in accelerazione e ripresa risultava piuttosto brillante.
Fu costruita in 20.436 esemplari.

Per le caratteristiche tecniche sportive la Fulvia Coupé si presentò subito come una vettura particolarmente adatta alle attività agonistiche. Così la Lancia non tardò a realizzarne, nel gennaio del 1966, una versione destinata alle competizioni e battezzata con la sigla HF (High Fidelity). Modello caratterizzato da un allestimento tipicamente corsaiolo e da alcune modifiche apportate al motore che riguardavano l’adozione di nuovi alberi a camme e collettori di aspirazione e scarico, La potenza salì a 88 CV a 6.200 giri.
Esteticamente la Fulvia Coupé HF si riconosceva sia per il colore rosso Lancia con una striscia centrale gialla e blu (i colori della città di Torino) che la percorreva in tutta la sua lunghezza, che per l’assenza di paraurti. Inoltre, per alleggerirla, lo spessore delle lamiere venne diminuito e cofani e portiere furono realizzati in alluminio. L’interno risultava semplificato: il termometro dell’olio sostituì l’orologio elettrico e i sedili, con un diverso disegno, vennero alleggeriti.
Costruita in soli 435 esemplari.

Alla fine del 1967 la Lancia presentò la Rally 1,3 con motore maggiorato a 1298,26 cm³, nuova testa di alluminio, condotti di aspirazione e scarico allargati e carburatori maggiorati. La potenza salì a 95 CV a 6.000 giri. Esteticamente non ci furono variazioni a parte la scritta “Rally 1,3”, lo specchietto retrovisore esterno e delle tinte di colore metallizzate. Per gli interni poche modifiche e disponibile in optional anche la pelle.
Ne furono prodotti 17.850 esemplari.

Contemporaneamente al lancio della versione Rallye 1,3 venne presentata anche la HF identificabile solo per la scritta posteriore “Rallye 1,3 HF”. Come la precedente versione aveva anch’essa la carrozzeria alleggerita e l’allestimento interno semplificato. Disponeva, inoltre, di un motore in grado di erogare 101 CV a 6.400 giri. Riscosse un notevole successo sull’onda dei successi ottenuti dalla squadra corse ufficiale.
Prodotti 882 esemplari.

Nel novembre del 1968 la gamma fu ampliata con la 1,3 S. La potenza arrivò fino a 103 CV a 6.000 giri, ottenuta grazie ad un aumento del rapporto di compressione e del regime massimo di rotazione. Fu aggiunto anche il radiatore dell’olio e il servofreno a depressione. Per il resto minime le modifiche (deflettori orientabili, nuove coppe ruote, targhetta anteriore 1,3 S).
Ne vennero prodotti 16.827 esemplari.

Ma la novità più grossa arrivò dal nuovo modello HF, presentato in contemporanea: il coupè Rallye 1,6, destinato soprattutto all’impiego in competizione. Montava un motore di 1584 cm³ a V ancora più stretto di 11⁰20′, con una potenza elevata a 114 CV a 6.000 giri. Numerose le modifiche apportate alla meccanica: cambio a cinque rapporti comandato da una leva corta e arretrata; sterzo più diretto. Modificati pure i freni e i bracci anteriori delle sospensioni, mentre i semiassi furono alleggeriti, Il radiatore diventò più grande e furono adottati cerchi in lega leggera dal disegno caratteristico.
Esteticamente la distinguevano soprattutto i nuovi gruppi ottici di profondità del diametro di 170 mm che le fecero meritare il simpatico nomignolo di “fanalona”. Al salone di Ginevra del 1969 alla versione “corsa” si affiancò una versione “lusso” più curata negli interni e dotata di paraurti. Per la versione corsaiola, subito dopo la presentazione, fu disponibile anche la cosiddetta “variante 1016” con motore dotato di albero a camme modificato, rapporto di compressione leggermente aumentato e carburatori più grossi (Solex C45 DDHS invece dei C42DDHF) che portarono la potenza a 132 CV a 6.200 giri.
Prodotta complessivamente in 1.258 esemplari.

Fu proprio la Rally 1,6 HF ad entrare nel mito grazie alle vittorie di Sandro Munari e Mario Mannucci nei mondiale Rally. Indimenticabile la vittoria al rally di Montecarlo del 1972 insieme alla conquista del titolo mondiale costruttori. Ma anche nelle gare in salita, grazie alla trazione anteriore e alle grandi doti di maneggevolezza, furono protagoniste e spesso molto più competitive delle più potenti Alfa Romeo GT a trazione posteriore.
Nella “Coppa Monti Iblei” del 1973 una Fulvia sport HF 1,3 Zagato, pilotata dal giovanissimo Benny Rosolia, si classificò addirittura al secondo posto assoluto e l’anno prima la curiosa Lancia Fulvia barchetta F&M di Matteo Sgarlata era riuscita a conquistare il terzo posto assoluto.


Alla fine di settembre del 1970 venne presentata la IIª serie della 1,3 S. Gli aggiornamenti alla carrozzeria si limitavano a una serie di ritocchi. Il più evidente cambiamento si riscontrava nel frontale, dove la calandra trapezoidale lasciava il posto a una forma lineare che si fondeva con i doppi fari. I paraurti di nuovo disegno avevano la parte centrale rivestita in gomma e i cerchioni erano di acciaio stampato, portiere e cofani erano in alluminio. Gli interni subirono lievi modifiche. La leva del cambio, adesso a 5 rapporti, era più corta, mentre fu aggiunta una piccola consolle centrale portaoggetti e il volante a due razze forate sostituì il precedente. Nuovo il piantone guida diviso in tre tronchi ad assorbimento d’energia e migliorato l’impianto frenante a doppio circuito. Il motore, depotenziato rispetto alla serie precedente, esprimeva una potenza massima di 90 CV a 6.000 giri.
Ne furono costruiti complessivamente 45.216 esemplari.

II successo al Rallye di Montecarlo del 1972 spinse la Casa torinese a presentare al Salone di Ginevra una nuova versione con la livrea dell’auto vincente di Sandro Munari: la Montecarlo. La meccanica rimase invariata, ma con gli interni uguali a quelli della 1,6 HF (con il poggiatesta), le cinture di sicurezza di serie e il volante in pelle.
Prodotte 4.440 di IIª serie e 2.529 di IIIª serie.

Con la presentazione della IIª serie anche la HF subì delle modifiche. Innanzitutto il frontale adottò la calandra e i gruppi ottici di nuovo disegno. I parafanghi, dato l’impiego di nuove ruote maggiorate in lega leggera risultarono più larghi. Il motore rimase soltanto quello di 114 CV a 6.000 giri, mentre gli interni furono leggermente modificati. Anche per la nuova HF ci fu una versione più corsaiola senza paraurti e interni semplificati, niente cornici cromate nel parabrezza e lunotto posteriore, deflettori fissi e una versione “lusso” più confortevole (con poggiatesta nei sedili e poggiabraccia nelle portiere).
Ne vennero prodotte 3.690, in gran parte nella versione “lusso”. Circa 400 nella versione “corsa”

L’ultima evoluzione fu la IIIª serie presentata nel salone di Londra del 1973. La meno interessante per appassionati e collezionisti. Diverse furono soprattutto le differenze di dettaglio con un uso più abbondante di plastiche e una ridotta qualità percepita. La meccanica rimase uguale alla serie precedente. La produzione terminò del tutto nel 1976 (con 25.334 esemplari dell’ultima serie) e decretando un notevole successo commerciale nel decennio di produzione.

Canto del cigno fu la cosiddetta “Safari”, modello numerato in 900 esemplari e di colore giallo chiaro. Presentato al salone di Torino del 1974 in ricordo dei rally africani. Si presentava spogliata di ogni accessorio superfluo, senza paraurti, poggiatesta, con il sedile posteriore privo di imbottitura e i cerchioni scuri. Nessuna differenza nella meccanica rispetto alla 1,3 ordinaria.

Per completare la panoramica una variante della Fulvia coupè fu prodotta anche dalla carrozzeria Zagato: denominata “sport” e seguendo le evoluzioni tecniche dei modelli di serie. In realtà, a mio modesto parere, la linea delle Zagato non fu all’altezza delle migliori creazioni di Ercole Spada, risultando piuttosto appesantita e poco proporzionata nella linea rispetto alla filante coupè di Castagnero. Ne parleremo in un’altra occasione.
