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di Vito Castagna

III CANTO (parte prima)

«Attraverso me si raggiunge la città dolente, attraverso me si raggiunge l’eterno dolore, attraverso me si raggiunge la gente perduta. Il mio creatore mi fece spinto dalla Giustizia, il Padre mi fece attraverso la potestà divina, il Figlio con la sua somma sapienza, lo Spirito Santo grazie al primo amore. Prima di me non fu creato nulla, esistevano solo cose eterne ed io eternamente durerò. Lasciate ogni speranza, voi che entrate».

Queste parole oscure, dipinte con un colore simile al sangue raggrumato, campeggiavano su un portale; smarrito mi rivolsi a Virgilio:
«Maestro, non ne comprendo il senso».
Al che mi rispose saggiamente: «Significa che dovrai abbandonare ogni esitazione, qui dovrà morire ogni tua paura. Come ti avevo promesso, abbiamo raggiunto il luogo dove i peccatori, soffocati dal dolore, hanno perduto la misericordia divina».

Sorrise per infondermi coraggio, mi prese la mano e mi condusse attraverso la porta. Accedemmo al mondo dei morti e venni immediatamente investito da un rumore assordante che ristagnava nell’aria di quella spelonca. Udendo quei sospiri e quelle grida disperate mi misi a piangere, afflitto da quella sofferenza. Diverse lingue, dagli accenti che non avevo mai udito, fuoriuscivano orribili e mutilate dalle bocche straziate e si mescolavano al trambusto di mani che battevano per ira e disperazione sulla parete rocciosa fino a sanguinare.

Un vento carico di sabbia ci avvolse lungo quel triste cammino impedendoci la vista; fui costretto a proteggere gli occhi col lembo della mia veste. Assillato dai dubbi, urlai alla mia guida cercando di sconfiggere il frastuono della tempesta e delle grida:
«Maestro, cos’è quello che sento e chi sono questi disperati?».

«Queste sono le urla delle anime di coloro che vissero senza infamia e senza lode. Tra di essi soffrono quegli angeli che non furono né ribelli né fedeli a Dio, che si mantennero neutrali nello scontro tra il Bene e il Male e per questo non furono accolti né in Cielo né negli Inferi».

«Maestro, cosa genera i loro lamenti?»
«Gli ignavi sono invidiosi della sorte di qualsiasi altro dannato. Non hanno lasciato alcuna traccia nel mondo e sono sdegnati dalla misericordia e dalla giustizia; non pensare a loro, guardali velocemente e dimenticali anche tu».

Ed io, divorato dalla curiosità, calai il braccio che mi proteggeva e osservai alla ricerca di uno spiraglio tra la danza dei corpuscoli di sabbia. Fu allora che vidi un demone che issava una bandiera priva di simboli; questi correva così velocemente che lo stendardo pareva non fermarsi mai. Come una falena attirata dalla luce, seguiva senza posa una teoria di dannati così ampia che mai avrei potuto credere che la morte ne avesse falciato così tanti.

Riuscii a riconoscerne qualcuno, poi vidi Celestino V, colui che per viltà abbandonò il soglio pontificio.
Questi disperati, disprezzati da Dio e dai suoi nemici, erano nudi ed eternamente punti da vespe e mosconi. I loro pungiglioni affondavano nei volti e dalle ferite sgorgava copiosamente del sangue che si mescolava alle lacrime di dolore estremo. Il pianto sanguigno colava sulle povere membra ricadendo a terra, dove un dedalo di vermi banchettava in comunione con quell’orrido pasto.

Inorridito mi voltai e scorsi in lontananza una moltitudine di anime che si accalcavano lungo un fiume. Ci allontanammo in fretta per sfuggire al rumore viscido di quei vermi.

Link al CANTO II (parte seconda). Cliccate qui!

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