Con la presente nota, dovuta alla prestigiosa firma di Andrea Biglia, il nostro blog continua ad esplorare tematiche di respiro ben più ampio di quello strettamente locale. L’occasione è il recentissimo saggio di Matteo Collura: ‘Baci ad occhi aperti‘ (Tea, 2020) dedicato alla sua (e nostra) Sicilia, che qui Andrea recensisce.
di Andrea Biglia
‘Sicelides Musae…’. Ma per Matteo Collura, scrittore e giornalista made in Agrigento e milanese per professione – tanti anni al ‘Corriere della Sera’ e ora collaboratore per la cultura del ‘Messaggero’ – la citazione non vale. Le muse sicule, oggi, non ispirano più l’età dell’oro, come nell’Egloga di Virgilio. Con una prosa intensa, nutrita di ablativi assoluti e ricca di echi letterari, nel nuovo libro, ‘Baci a occhi aperti’ (Tea, pagine 478, 16 euro), racconta con amore la sua isola, passato e presente, senza però chiudere gli occhi, tutt’altro, sui gravi problemi, sociali, culturali e di costume su cui è cresciuta la mala pianta della criminalità: lo stato nello stato con complicità interne ed esterne. Un’età insomma ancora del ferro, insanguinata da un’infinità di delitti e vittima di un’economia scriteriata e di scempi urbanistici.

In queste pagine si raccoglie una vita di articoli e saggi. La cronaca – dal bandito Giuliano, al terrorismo mafioso, alla corruzione politica ed economica – si intreccia con l’analisi storica.
L’orgoglio di una vicenda lunga tremila anni nei quali la Sicilia ha giocato ruoli decisivi sulla scena politica e culturale del Mediterraneo affascinando visitatori illustri come Goethe, Dumas, Wagner – le antiche colonie greche, la civiltà normanna, il fiammeggiante Barocco, la tappa importante, si pure controversa, dell’epopea dell’Unità d’Italia – cerca di sopravvivere alla delusione della progressiva decadenza testimoniata dai palazzi in rovina sotto lo sguardo amaro del principe Tomasi di Lampedusa del tutto cambi perché…. Il culto per Padre Pio (‘Il miglior conforto viene dalla preghiera’ recitano le lapidi dei sempre più numerosi monumenti dedicati al frate), ha spodestato dal cuore dei siciliani la ‘bellicosa e gagliarda Santa Rosalia’. Simbolo di una resa?

‘Ci ammaliamo di noi stessi: Siamo il male e il malato’: Collura cita il ‘Diario’ di Brancati dove si sottolinea come l’isola sia sempre stata la ‘porta’ attraverso cui sono entrati i fenici e i greci, i latini e i normanni, gli arabi e i borboni, tanti altri invasori: di qui un clima di nostalgia per un passato glorioso e di rassegnato scetticismo sul futuro, di diffidenza e di sillogismi, di inganno e di comico insieme. Miseria e nobiltà. E l’autore rilancia: continuiamo a restare ‘inquilini’ nella nostra terra, a rischio di ‘sfratto’. ‘Irredimibile, isolitudine’, altri termini (l’ultimo ripreso da Bufalino) che tornano nel tentativo di definire un’identità, un’anima a un territorio che, diviso da soli quattro chilometri dal resto della nazione, difende nel bene e nel male la sua ‘lontananza’. Scilla e Cariddi. Nessun ponte le può cancellare.

C’è la Sicilia del tramonto della vecchia aristocrazia, dei principi del Sacro Romano impero rifugiati nei loro palazzi a praticare lo spiritismo mentre il mondo di fuori cambia. La Sicilia del ‘carnevale della morte’ con l’orrenda esposizione di cadaveri avvolti in divise polverose nelle catacombe dei cappuccini di Palermo. La Sicilia di Pirandello con i suoi ‘così è se vi pare’ e con il pirandelliano racconto della sepoltura del grande scrittore che doveva rimanere anonima per non urtare certe sensibilità . Poi la Sicilia dei misteri: l’affondamento della nave che riportava in continente Ippolito Nievo con i documenti segreti della spedizione dei Mille, la scomparsa di Majorana, la tragica fine del ‘padrone ‘ dell’Eni, Enrico Mattei nell’aereo precipitato al rientro da una missione nell’isola. E naturalmente la Sicilia della mafia, dei boss alla Genco Russo, dei sequestri, dei morti ammazzati: Terranova, Boris Giuliano, Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino, una catena interminabile.

La Lombardia dei ‘Promessi sposi’ e la Sicilia di allora erano partite più o meno alla pari. Come mai, si chiede Collura, il tempo al Nord è volato e qui, vedi i rapporti tra il cittadino e l’autorità, lo Stato, pare essere fermi ai tempi dei ‘vinti’ di Verga?
L’autore pare inclinare al ‘pessimismo della ragione’ del suo maestro e amico Sciascia. Ma qua e là si fa spazio anche l”ottimismo della volontà’. Può rappresentarlo quel pino che, pur ridotto a moncherino dalle tempeste, continua a vegliare accanto alla rozza pietra che accoglie le ceneri di Pirandello. E molte altre storie di voglia di uscire da uno status di colonia come i giovani che scendono in piazza contro il potere, mafioso e non, e il coraggio di tanti cittadini che osano sfidare ricatti e inique consuetudini patriarcali (Franca Viola, la prima ragazza a ribellarsi al ‘matrimonio riparatore’).

La mafia, spiega il libro, non è un fattore genetico ma un prodotto storico, culturale. Per combatterla non bastano leggi e manette: occorre agire sulle menti. Un lavoro lungo ma forse non impossibile. Magari puntando anche sulla bellezza di cui l’isola è ancor depositaria: come Taormina, Caltabellotta, la Baia di Calavà …, quei ‘luoghi dell’anima’ dove l’antico e il moderno convivono a dispetto della barbarie speculativa. Santa Rosalia, dacci tu una mano.
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Bellissimo e circostanziato articolo. Complimenti all’autore, condivisibile in tutte le sue parti e soprattutto là dove afferma: ” Per combatterla non bastano leggi e manette: occorre agire sulle menti. ” Avrebbe avuto il plauso di Gesualdo Bufalino perché anche lui sosteneva che per combattere la mafia bisognava iniziare dai maestri elementari!