5
(16)

di Giuseppe Cultrera

Adesso i luoghi che visse e calcò Vincenzo Rabito si tingono dell’inchiostro dei suoi libri e trasfigurati letterariamente ci appaiono icone comuni (o comunitarie?) che contraddistinguono il paesaggio urbano e quello della sottostante piana che degrada verso il mare d’occidente: le scale ripide del carrugghiu di S. Giovanni, che percorse più volte, a due scalini per volta, correndo transfuga alla casa materna; o l’angusto cortile della casa natia e il prospetto dell’abitazione acquistata con “i soldi dell’Africa” dove avrebbe voluto riposare fino alla vecchiaia, ma che dovette vendere per trasferirsi a Ragusa; le società di Mutuo soccorso in piazza delle quali, adulto, fu assiduo sodale; il balcone panoramico accanto alla Villa Comunale dal quale si vedono, nitide, la casetta cantoniera e il Santuario di Gulfi, l’uno accanto all’altra per l’effetto della distanza.

Frammenti del suo memoriale ed ora di parte del nostro vissuto condiviso e ritrovato, dentro quelle narrazioni compresse in ortografia e sintassi alchemiche e asimmetriche – un po’ come le opere grafiche di Escher – che lo hanno consegnato alla letteratura del Novecento prima con Terra Matta e ora con Il romanzo della vita passata, che ne è rilettura e sedimentazione. Chiaramonte Gulfi diviene, pertanto, l’imago mundi. E le vicende che vi si dipanano: archetipi e sintesi.

vincenzo rabito
M. C. Escher, Relatività, 1953. Vincenzo Rabito

La Festacrante di domenica 16, ha animato la sua città non solo per festeggiare il secondo capitolo, fresco di stampa, ma per tributare – compaesani, amici acquisiti, studiosi e accademici – un attestato di simpatia all’analfabeta Rabito che ha svelato la magia della scrittura. Lo so che è un ossimoro. Ma non è l’unica asimmetria (Maurits Cornelis Escher, sorride).

Vincenzo Rabito
I fratelli Tano, Salvatore e Giovanni Rabito (foto Tony Vasile)

«Lo sanno bene quelli che, dopo aver letto e, a volte, riletto “Terra matta” hanno contratto il virus della rabitìte chiosa Chiara Ottaviano, una delle artefici della manifestazione – che ha indotto, ad esempio, il prof. David Moss, antropologo anglosassone, a penetrare i meandri del “rabitese” e dedicargli uno studio ancora in itinere; oppure il giovane attore milanese Stefano Panzeri a portare in scena, per capitoli, la vita “molto maletratata e molto travagliata e molto desprezata” assorbendo e restituendo al pubblico la particolare ortografia e musicalità della lingua. O ancor più la sua voce narrante, nel docufilm “Terramatta” di Costanza Quatriglio e mio, nutrita della conoscenza diretta dello scrittore o dall’aver frequentato casa sua a Ragusa, quale amico del figlio Giovanni: parlo del compianto Roberto Nobile, a cui abbiamo dedicato un commosso ricordo durante la festa.»

Vincenzo Rabito
Tano Rabito, Giovanni Rabito e Saverio Senni

Ma penso pure al professore Saverio Senni, docente dell’università della Tuscia, approdato a Chiaramonte per svelare un varco poetico nel memoriale: parole e pause che sono versi e poesia. Da più lontano sono giunte Laura Brignon, Elena Gerola West e Anke Stark per volgere il “rabitese” in lingua francese, inglese e tedesca.

Le parole sono pietre diceva Carlo Levi. Quelle di don Vincenzo Rabito hanno la ruvida scorza e l’indefinita dolcezza degli altopiani iblei.

Vincenzo Rabito
Da destra: Elena Gerola West, Anke Stark, Laura Brignon e Giovanni Rabito (foto Tony Vasile)

Vota questo articolo

Valutazione media 5 / 5. Conteggio voti 16

Write A Comment