di Christian Pancaro
A Palermo e più precisamente in Via Montalbo, sede di un mercato popolare a due passi dalle falde del Monte Pellegrino, Vincenzo Rosciglione, suo fratello Pietro e i nipoti portano avanti da cinque generazioni la tradizione dolciaria palermitana.
Tutto nacque nel 1840 in una traversa di Via Porta di Castro nel popolare rione dell’Albergheria, quando il capostipite Domenico di mestiere “Turrunaru” inventò la “Buttighiella”, una bottiglietta di zucchero colorato che custodiva uno sciroppo all’amarena, che era ricercatissimo durante le feste estive, principalmente per il Festino di Santa Rosalia. Da questo speciale prodotto deriva il soprannome tramandatosi a tutti i discendenti della famiglia appunto di “Buttigghiella”.

Negli anni ’50 il nipote del capostipite, Vincenzo, si trasferisce dall’Albergheria a Via Montalbo e impianta l’attuale laboratorio gestito ancor’oggi da figli e nipoti. Alla produzione di torroni e dolciumi hanno affiancato e affiancano l’attività di fieranti ambulanti che esercitano durante le principali feste della città e della provincia di Palermo.
Ad ogni modo, i migliori affari avvenivano (come tutt’ora) per la Festa dei Morti. I Rosciglione, ormai da tradizione, apparecchiano davanti al laboratorio una bancarella piena delle leccornie che compongono il “Cannistru”, un cesto pieno di “ossa di morto”, tetù, taralli, di frutta Martorana e della Pupaccena, o pupa di zucchero, che viene regalato ai bambini come dono dei loro cari defunti.
In particolare, le pupe sono delle statuette di zucchero raffreddato e chiarificato, raffiguranti vari soggetti, spesso della forma antropomorfa. Molti studiosi ne hanno ipotizzato le origini, alcune anche farcite da storielle fantasiose. Una di queste vuole che alcuni marinai, di passaggio da Venezia, fossero venuti a conoscenza delle sculture di zucchero realizzate per abbellire il pranzo offerto dalla Serenissima a Enrico III, figlio di Caterina de’ Medici, nel 1574.

Probabilmente, le Pupe hanno un’origine più antica, legata ai banchetti funebri in uso presso le società del passato. L’usanza di consumare cibi antropomorfi si ricollegherebbe alla patrofagia simbolica: nutrirsi di questi alimenti era come cibarsi degli stessi trapassati. Quindi, non una cena destinata ai morti ma ai vivi. Queste sculture di zucchero sono presenti anche in altre parti del Mediterraneo (vedasi l’Egitto) e questo ci fa supporre una probabile origine euro-mediterranea di questa tradizione.
Ai nostri maestri “Turrunara” poco importa delle recondite origini e continuano a produrre soggetti che richiamano la tradizione cavalleresca dell’Opera dei Pupi, oppure soggetti religiosi, come un San Giorgio a cavallo o una Madonna delle Grazie, fino ai personaggi dell’odierno universo ludico-mediatico. Ma con quale procedimento vengono creati? Lo zucchero viene cotto in pentole di rame detti puzzunieddi e successivamente versato su stampi in gesso. Una volta solidificato, si staccherà facilmente dagli stampi grazie allo shock termico. La costruzione della statua procede per sezioni che vengono poi unite grazie allo zucchero cotto; il suo interno è vuoto per renderle più leggere ed economiche.

Il prezzo dell’opera finita varia in base alle giornate di lavorazione, che si allungano per la fase decorativa. Spesso richiede molte ore perché la stesura di colore a strati deve rispettare i tempi di asciugatura e, in alcuni casi, i soggetti realizzati sono particolarmente ricchi di dettagli. Vi sono persino statuette che raggiungono il peso di 60 kg e che richiedono settimane di lavoro per la realizzazione.
Una volta acquistate, le Pupe vengono esposte come soprammobili nelle case, per poi essere consumate a poco a poco spezzandole dal retro ed utilizzate a mo’ di zolle per dolcificare il caffè, come da un’antica consuetudine palermitana rammentataci da Vincenzo Rosciglione.

Nonostante l’incalzare dei tempi e l’emergere di contaminazioni culturali, le Pupe di Zucchero restano un prodotto ricercato che rappresenta la continuità simbolica tra il presente e il passato e che ci parla del rapporto tra i vivi e morti, funzionale alla rigenerazione della Vita e della Natura e a ristabilire l’Ordine nel Caos.
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Dolci antropomorfi, le pupe: durante le feste di Compitalia, in onore dei Lari, i Romani, spiega Antonino Buttitta1, offrivano a “Mania”, madre o nonna degli spiriti, delle pupattole di lana (“oscilla”), le quali si appendevano sulle porte di casa o nei quadrivi.