“I nostri pescatori siamo noi stessi … siamo noi la causa del nostro essere intrappolati”.
(F. Gabbani)
di Salvina Benato
“L’inverno del nostro scontento” è stato l’ultimo romanzo di Steinbeck pubblicato nel 1961 l’anno prima del conferimento del premio Nobel.
Il romanzo narra di Ethan, ultimo discendente di una famiglia di balenieri, caduti in disgrazia per un investimento sbagliato, di tutto il patrimonio famigliare è rimasta solo la casa dove vive con la moglie e i figli adolescenti e ribelli. Intorno una saga di stereotipi di una tipica cittadina americano dove tutti si conoscono. Ethan uomo semplice e di sani principi si ritrova a fare il commesso nel negozio che prima era di sua proprietà.

Il nostro gruppo di lettura ha apprezzato i dialoghi vivaci e le giustificazioni che gradualmente hanno condotto il protagonista al successo. Il titolo richiama le parole di Riccardo III nella scena prima del primo atto dell’opera shakespeariana. Re Riccardo è disposto a qualsiasi cosa per mantenere il potere, ma è anche lo stesso che al termine dell’opera, dinanzi all’inevitabile disfatta, pronuncerà la frase: “Il mio regno per un cavallo” mostrando tutto l’egoismo di cui è capace.
È questa la questione fondamentale che si pone Steinbeck, a cosa si è disposti pur di avere un ruolo in società che solo la ricchezza può generare. È la domanda che si pone Ethan per non deludere le aspettative della sua famiglia. Grazie ad un astuto raggiro il protagonista riesce ad impossessarsi di un terreno, dove, secondo i piani urbanistici appena approvati, sorgerà un aeroporto.

Ethan perde il suo concetto di integrità e inizierà a sfaldarsi. Nella costante perdita di libertà del protagonista la narrazione passa dalla terza alla prima persona. Quando non aveva niente aveva tutto, ora che ha tutto sente di non avere più niente e alla fine l’autore gli fa dire: “It’s so much darker when a light goes out than it would have been if it had never shone” (è tanto più buio quando una luce si spegne, più buio che se non si fosse mai accesa).