di Redazione
Il giovane aviere Rosario Bentivegna (Chiaramonte Gulfi 1922/2014) il 10 luglio 1943 era in congedo, a casa sua, quando sbarcarono gli Alleati. Dall’alto del suo paesello vide arrivare dal mare le truppe anglo-americane; poi la repentina fuga dei tedeschi e la resa degli italiani, il caos delle istituzioni, le paure e le speranze per un cambiamento improvviso.
Rosario Bentivegna aveva la passione per la storia, quella del suo paese principalmente, e ne raccoglieva i frammenti documentali, le immagini fotografiche, i reperti della vita sociale. Nella sua bottega in via Corallo, un intero angolo e un piccolo sgabuzzino erano il loro deposito: quando andavo a trovarlo – più spesso era lui che mi invitava a entrare essendo la via Corallo luogo di passaggio – ne estraeva un paio e me li mostrava accompagnandoli con le spiegazioni e le storie correlate. Erano le stampe devote dei Puccio, le foto e le lastre dello zio Antonio, fotografo autodidatta vissuto a cavallo della Grande Guerra, emigrato poi in America ma quasi subito ritornato a Chiaramonte; volantini, manifesti, giornali del periodo fascista e della seconda guerra mondiale, attrezzi e piccole “invenzioni” della bottega che era stata di suo nonno, suo zio e suo padre. E mille altre minuzie. Le didascalie o le indicazioni di luogo e di tempo corredavano ciascun fascicolo, busta o reperto.
Mi diede, perché servisse per una storia sociale del primo Novecento a Chiaramonte, una serie di meticolosi ricordi (fogli di quaderno che ho rilegato in un volumetto di 150 pagine): da questi ricordi traggo il racconto degli avvenimenti relativi a quel luglio 1943 (G. C.).
“La mattina di sabato 10 luglio si sparse la notizia che avevano lanciato dei paracadutisti nemici nella piana di Ragusa. Ma fu subito smentita.
Verso le nove una colonna motorizzata tedesca in pieno assetto di guerra giunta in paese si fermò tra le vie Ciano e Montesano. Gli abitanti del quartiere si preoccuparono per il pericolo di un attacco aereo, ma stranamente quel giorno non vi fu alcun sorvolo. Dopo una discussione fra di loro i militari tedeschi ripartirono, con grande sollievo di tutti.
Di nuovo tornò a circolare la voce che gli americani fossero sbarcati. L’altalena di voci cessò quando in piazza si fermò la stazione radio mobile del Campo, che confermò la notizia. Siamo corsi tutti al belvedere della Villa, ed abbiamo visto il golfo di Gela pieno di navi da guerra. Nella mattinata si erano sentiti dei boati, che ora apprendemmo era il cannoneggiamento delle navi per proteggere lo sbarco. Tutto il mondo era a conoscenza dello sbarco e noi così vicini non ce ne eravamo accorti!
Tuttavia, la notizia creò apprensione. La posizione di Chiaramonte in mezzo alle colline era strategicamente difensiva, tanto che i comandi militari nel settembre del 1940 avevano inviato un reparto del Genio Minatore che aveva scavato delle gallerie sotto la provinciale, nel tratto oggi corso Europa e Corso Kennedy fino all’inizio della via Gulfi. In caso di invasione nemica le gallerie riempite di esplosivo, dovevano interrompere il transito dei mezzi e ritardare l’avanzata.
Anche il reparto tedesco che la mattina era salito verso l’Arcibessi faceva presagire una strenua difesa che avrebbe posto Chiaramonte tra due fuochi.
Molte famiglie uscirono dal paese e si rifugiarono nelle case isolate della campagna o in grotte.
Io nel pomeriggio, come al solito, ho fatto una capatina dal barbiere, poi sono andato a visitare un mio zio che non poteva uscire, poi passai dalla bottega e sull’imbrunire rientrando a casa, nelle vicinanze vidi un ufficiale e un soldato venuti da Comiso per requisire la macchina del barone Montesano. Davanti al garage l’ufficiale cercava qualche persona capace di guidare la macchina che doveva servire per portare rifornimenti ai soldati che combattevano nei dintorni di Comiso. Offrendo delle sigarette, merce in quel momento molto rara, riuscì a convincere l’autista del carro funebre, e così porto via la macchina.
L’auto tempo dopo fu restituita al barone, dagli americani.
Intanto i soldati del genio iniziarono a riempire di esplosivo il tratto della provinciale già predisposto e nel tardo pomeriggio fecero sgombrare le famiglie che abitavano nelle vicinanze vale a dire coloro che abitavano in via Cappella, Fonderia, S. Rocco, piano del Salvatore e S. Giovanni Bosco.
Fattosi buio il paese fu immerso nel silenzio. La gente nelle proprie case aspettava gli eventi. Mia zia con i cugini e altri parenti che abitavano al piano del Salvatore vennero a casa nostra. Ci rifugiammo nel dammuso, dove tra grandi e piccoli eravamo circa 18.
Appena fu giorno i parenti ritornarono alle proprie abitazioni, perché l’ordine dello sgombro era cessato. Anche l’altra gente che era andata fuori tornò nelle proprie case. Lentamente la piazza si ripopolò, aprivano i negozi e le botteghe, c’era chi andava in chiesa per la S. Messa. Sembrava una domenica normale.
Il mattino passarono alcune autobotte tedesche, poi calma. La sera si videro gruppi di soldati sbandati. La notte la gente dormì nelle proprie case perché c’era la convinzione che tutto si sarebbe svolto senza pericolo.
La mattina, lunedì 12, gli americani occuparono Chiaramonte.
Guardando da dietro la cassina vidi due soldati italiani con alla schiena i fucili di due americani. Uscito seppi più notizie sull’occupazione. Avevano preso prigionieri i soldati del genio e li avevano raccolti nel piano di S. Giovanni; poi avevano occupato la caserma dei Carabinieri, disarmandoli, ed un ufficiale americano si era insediato al Comune al posto del Podestà avv. Pietro Gafà. Per strada incontrai diverse pattuglie, alcuni portavano sull’elmetto stampigliata una grande M.P. Mi sembrarono strani, ma dopo pochi giorni seppi che erano della Polizia Militare.
Nella zona del monte Arcibessi gli americani posizionarono dei cannoni per proteggere i militari che occupavano il paese. Poi spararono qualche sporadica cannonata sullo stradale Muti-Paraspola.
Per circa una settimana il paese fu attraversato da varie colonne di militari. Molte erano le jeep, che si dirigevano poi per la strada che porta a Licodia. La gente in piazza facendo ala, assisteva al passaggio delle truppe.
Un pomeriggio passò mio cugino con i suoi amici e mi invitò ad uscire e siamo arrivati fino alla Madonna del volo. Alcuni entrarono in un terreno dove c’erano fichi maturi; il padrone che se ne accorse intimò di non toccarli, ma uno del gruppo rivolto a costui gli gridò: «lo sai che è arrivata la libertà?».
Una notte sotto casa nostra si fermarono dei grossi carri armati: tutta la casa tremava. Li abbiamo guardati di nascosto. Col coprifuoco e i soldati sopra i carri con i fucili pronti, non ci siamo azzardati ad uscire.
Un pomeriggio passò una colonna di prigionieri italiani a piedi, con le barbe lunghe, stanchi e assetati, con ai lati i soldati inglesi con i fucili con la baionetta in canna. Alcuni che tentavano di bere alle fontanelle venivano ricacciati nella fila con le punte delle baionette. Si fermarono in contrada Pezze e il parroco mons. Vito Ventura, che si trovava in licenza, vi si recò raccogliendo gli indirizzi delle loro famiglie.
Non vi era stata alcuna resistenza: I militari tedeschi accampati nella vallata erano partiti la mattina del 10 per la zona dello sbarco. Gli abitanti delle zone quando si resero conto che i tedeschi non sarebbero più tornati si impossessarono di tutto. Dopo diversi anni c’erano persone che ancora indossavano cappotti e stivali dei tedeschi, presi in quel frangente.
I gerarchi locali per diversi giorni sparirono.
Dopo pochi giorni, cominciarono a tornare a casa i militari «sbandati» che aumentavano man mano con l’avanzata degli alleati.
La sera bisognava rientrare in casa alle nove perché c’era il coprifuoco.
Si cominciarono a trovare le sigarette. E gli americani scambiavano le loro scatolette con le nostre uova fresche.
Molta roba si trovava nella zona dell’aeroporto. Gli americani avevano occupato solo le istallazioni militari dell’aeroporto. Per cui le officine i depositi di materiale e carburante furono prese d’assalto da persone conoscitori della zona: alcuni di costoro si sono arricchiti, per la quantità di materiale trafugato. Per oltre un mese la gente andava, anche con carretti, a prelevare materiale di qualsiasi tipo.”
Le foto che corredano il testo sono di Phil Stern fotografo di guerra americano; riguardano l’area iblea, Comiso in particolare, e sono state esposte in mostra nel 2013 (sopra un manifesto).
Il testo pubblicato è tratto da una memoria manoscritta di Rosario Bentivegna (1922/2014) per una storia del Novecento a Chiaramonte, rimasta inedita.