Ovvero morire e poi risorgere. Istruzioni per l’uso.
di Sebastiano D’Angelo
Puntuale (o quasi) come il miracolo di San Gennaro, per l’ennesima volta l’on. Mongibello compare nella puntata del Commissario Montalbano ‘Una voce di notte’, che si chiude con la sua triste fine. Non si contano più le repliche televisive dell’episodio. L’ultima proprio martedi 15 dicembre.
Per un gioco di fantasia semiserio, abbiamo catturato il pensiero di Mongibello, in quel tragico pomeriggio che segnò il suo barbaro omicidio.

Salve cari lettori del blog. Sono l’On. Mongibello, uscito dalla fertile penna di Camilleri. Sono stato un politico di lungo corso colluso con la mafia, vittima di delitto eccellente come l’On. Salvo Lima. La mia dottrina politica era ispirata all’autonomismo, secondo quella corrente di pensiero che ebbe il suo leader come Presidente della Regione qualche anno fa. Ricordate?
In una intervista resa nella fiction sotto il Duomo di San Giorgio a Ibla esaltavo proprio l’ideologia autonomista. Uomini come me hanno il destino segnato, per il torbido intreccio di vicende malavitose di cui ero stato oscuro ma potente tessitore. E così l’amaro epilogo della mia triste esistenza mi aspettava in un caldo pomeriggio di inizio estate, sul piccolo promontorio di Sampieri dove insistono i ruderi di un vecchio opificio industriale, inteso il ‘Pisciotto’.
Era il 22 giugno del 2012. Una lieve brezza saliva dal mare ma a stento mitigava la gran calura. Subito mi resi conto che la mia ora era arrivata. Passato il varco del parrucchiere e degli assistenti di regia per le ultime raccomandazioni, mi avviai verso il set, pullulante come non mai di tanta gente. Una squadra di operatori di riprese e fotografi mi attendeva, pronta ad immortalare le sequenze filmate da ogni angolo, con accanto assistenti di regia, ausiliari a vario titolo, e il regista davanti ai monitor sotto una improvvisata tettoia pronto a convalidare o annullare l’esito delle riprese. Tutto era stato studiato per potermi consegnare a quegli inferi che ben meritavo per la mia squallida esistenza. E non potevo fallire, altrimenti avrei bruciato i costi di un giorno intero di produzione.
CIAK, si gira!
Avanzai guardingo con una valigetta piena di denaro da consegnare ad oscuri interlocutori; arrivato al luogo concordato, una fucilata in pieno petto mi squarciò il cuore. La microcarica segnò un bel foro sulla camicia in pieno petto, e in rapida sequenza esplose un sacchettino ripieno di liquido rossastro, lasciando traccia inequivocabile del barbaro assassinio. Caddi rovinosamente a terra. Ero morto ammazzato. Dissero poi in tanti che fu una caduta perfetta, e già al primo tentativo. Entusiasta il regista Alberto Sironi che, uscendo dal gabbiotto che lo riparava dal sole cocente, urlò a tutti che la scena era andata bene e felicemente conclusa. Così potei esalare l’ultimo respiro, consegnarmi alla pena eterna e ridare la ribalta a Sebastiano D’Angelo che, poverino, aveva faticato le proverbiali sette camice per calarsi nei miei panni.
Emozioni da Set. Dietro le quinte.
Per un curioso gioco del destino, nella tarda primavera del 2012 ebbi modo di interpretare il ruolo del personaggio mafioso ammazzato ai piedi dell’antica fornace. Ma terminata la funzione scenica, resuscitai più arzillo di prima.
Tanti gli anedotti legati a quell’indimenticabile pomeriggio. La paura di non essere all’altezza, la consapevolezza di arrecare un danno alla produzione nel caso di fallimento, la certezza che avrei avuto solo tre prove possibili perché solo tre erano le camice disponibili in sartoria, il timore di deludere quanti mi avevano dato fiducia. E, da ultimo, l’emozione di avere un set tutto e solo per me. Stremato fisicamente dall’ansia e dal gran caldo, rimasi fermo a terra nella stessa postura della morte per almeno una mezz’oretta, trattenendo il fiato e frenando ogni minimo movimento del corpo, nell’attesa che terminassero le riprese di un dialogo tra Montalbano e un Ispettore ministeriale dell’Antiterrorismo, avvenuto sul corpo ancora fumante del povero Mongibello.
Avvolto nella dolce brezza marina, caddi in una sorta di dormiveglia, talché il vice-regista alla fine venne a svegliarmi, chiedendomi se per caso fossi morto davvero. E cosi quel pomeriggio, ma lo stesso dicasi per tutte le successive repliche televisive, accadde il miracolo della resurrezione, come in tanti amabilmente mi sottolineano subito dopo ogni messa in onda della puntata.

Invero la vigilia non era stata affatto semplice e priva di difficoltà. Per quanto possa apparire semplice, morire ammazzato non è facile come può sembrare a prima vista. Il corpo umano, colpito dal proiettile, ha una reazione innaturale, che non è facile tradurre nella finzione scenica. Mi era stato assegnato un abile e ed esperto istruttore, un noto stuntman del cinema italiano. Un signore alto e grosso che, con una mano gigante, ogni volta mi buttava giù in un materassino. Avrò contato circa 500 cadute di prova, anche piuttosto violente e pesanti, ma nessuna purtroppo risultava credibile.
Il regista Sironi, irritato, stava per ingaggiare una controfigura professionale, quando il mio istruttore, con cui nel frattempo era maturata una bella amicizia, a forza di farmi stramazzare a terra, escogitò lo stratagemma giusto in un estremo sopralluogo alla vigilia delle riprese nei luoghi della tragica caduta. Più sicuro e risollevato, ma non per questo meno preoccupato, mi avviai alla prova finale. Il risultato a detta di tutti, ma soprattutto del regista e di numerosi amici e spettatori, pare sia stato credibile.

Un pomeriggio indimenticabile quel 22 giugno. L’immersione nell’atmosfera di un set, la familiarità con i trucchi cinematografici, gli operatori, fotografi, personale ausiliario e una miriade di altre figure ti dà una dimensione magica, soprattutto se, come nel mio caso, era la prima volta. Un set che fra l’altro, ti regala una grande visibilità. Sin dalla prima replica sono stato additato e riconosciuto ovunque, spesso con stupore, come l’On. Mongibello, anche presso i tanti amici che risiedono all’estero.

Doveroso accennare ai principali protagonisti dello sceneggiato. Splendide le figure di Mimì Augello e di Fazio, altrettanto non potrei dire del Commissario, persona che mi apparve un po’ altera e scostante. L’ultimo ad arrivare sul set e il primo a lasciarlo. Sensazioni invero condivise da molti. Con lui avevo avuto anni prima un approccio personale negativo, quando, contattato per una eventuale partecipazione al Premio ‘Ragusani nel Mondo’, con saccenza tipicamente romana e nemmeno tanto elegantemente, la declinò. Ebbi modo solo di dirgli che la mitica Susan Sarandon ed altri grandi personaggi del Premio avevano aderito con molta più gioia e condivisione all’idea di essere testimonial della ragusanità. Diverso il giudizio sugli altri grandi interpreti ragusani della fiction, dall’immenso Marcello Perracchio al saggio e ironico Roberto Nobile. Su Catarella difficile esprimere un giudizio. Ognuno lo può trarre da sé. In quella puntata fu coinvolto anche un altro attore chiaramontano: il bravissimo Rosario Minardi.

Discorso a parte merita il regista Alberto Sironi. Al tempo delle riprese non ci conoscevamo, ma nel periodo successivo maturò una bella amicizia condita da reciproca stima, che culminò nel 2013 con il conferimento del Premio ‘Ragusani nel Mondo’. Persona di grande spessore professionale, dal tratto umano amabile ed istintivamente simpatico e gradevole, era la vera anima dello sceneggiato. La sua recente scomparsa, insieme a quella di Camilleri, ne ha segnato l’inarrestabile declino. Sul palco del Premio pronunciò una frase che mi rimase impressa: ‘il vero valore aggiunto della fiction sta nella suggestiva ed esclusiva bellezza dei luoghi iblei, nella luce riflessa sui muri bianchi delle case’.

Forte dell’amicizia con il regista, tentai negli anni successivi di ripropormi come interprete, ma questa volta nei panni di un personaggio vivo, non di un morto ammazzato. Sironi mi aveva assegnato un piccolo ruolo, ma fu stoppato dalla produzione, con la motivazione che non si possono impegnare interpreti che sono stati caratterizzanti in precedenti puntate dello sceneggiato. E così si concluse, con la tragica fine del povero Mongibello, la mia breve ed inaspettata esperienza sul set di Montalbano, nata invero in modo casuale. Ero andato a proporre qualche mese prima delle riprese al regista o ai responsabili di produzione (non più a Zingaretti) l’invito a ricevere il Premio ‘Ragusani nel Mondo’ come sceneggiato; arrivai a contattare un assistente alla Regia che, guardandomi bene in volto, mi disse tout court se ero disponibile ad interpretare un ruolo, cosa cui invero non avevo mai pensato.

Accettai, feci un improvvisato provino, fui scelto per quel ruolo, e poi finì come tutti sappiamo. Un bel ricordo, emozionante, conservato nello scrigno dei momenti più belli e coinvolgenti della mia vita. E così succede che ad ogni replica da allora si verifica il miracolo di San Gennaro (alias resurrezione di Mongibello), con annessi e rinnovati messaggi di stupore e congratulazioni da parte di amici che ti riconoscono. Ebbene sì, proprio vero, L’unico a non averci creduto ero proprio io! Ma quella volta caddi proprio bene, o forse meglio mi sono rialzato.
Fin quando accadrà?