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di Giuseppe Cultrera

Non cercatelo questo tesoro, perché non esiste più. O meglio, ha avuto ottima destinazione. È servito per costruire l’ospedale Busacca di Scicli.

Gli storici vi diranno che le cose stanno diversamente in quanto il Busacca del tesoro è un ricco gentiluomo del XVI secolo, Pietro di Lorenzo, che nel luglio 1557 in punto di morte, a Palermo, facendo testamento donò il suo ingente patrimonio alla città natale, Scicli. Un ricco mercante, ebreo come fa dedurre il suo soprannome Busacca, che con questo dono rese moderna la sua città: nei successivi quattrocento anni “l’oro di Busacca” non solo fornirà la dote a molte ragazze e ne monacherà parecchie altre, ma sarà prezioso nella ricostruzione post terremoto e nella realizzazione di opere pubbliche, specie nel periodo post-unitario; la più esemplare delle quali sarà l’Ospedale, attivo fino a oggi.

l'oro di busacca
Presunto ritratto di Busacca. Particolare da un dipinto anonimo del ‘600; Palermo, Chiesa di S. Anna la Misericordia. Foto Luigi Nifosì. (A destra) Scicli statua commemorativa di Pietro di Lorenzo detto Busacca

Ma io voglio raccontarvi quest’altra, per come la contano gli anziani, che la Storia non conoscono, o la conoscono a modo loro; tutta intrisa di altre “storie” che non hanno conforto di documenti o reperti, ma si sono generate e rigenerate passando di bocca in bocca, nel tempo andato.

C’erano due compari, amici per la pelle. Uno dei due un giorno fa all’altro:

«Compare, la prendiamo una truvatura

«Pronto, compare. Tempo avete perso. Dov’è?»

E questi gli confidò che, nel terreno dove lavorava, gli appariva sempre nello stesso posto, un rospo; che, come iniziava a guardarlo fissamente, all’improvviso spariva. Così per parecchie volte.

Appena si fece sera presero zappa e pala, due lumi di carretto, e si avviarono. Giunti sul luogo – c’era la luna piena –  quello indicò il posto dove appariva il rospo: ma ora era occupato da un animale orrendo. Il compare senza pensarci due volte afferrò la zappa e l’uccise.

Iniziarono subito a scavare nel luogo fatato e procedendo, procedendo si imbatterono in tante giare piene di marenghi d’oro. Per la contentezza si misero a ballare senza musica, che parevano due matti.

l'oro di busacca
Il ritrovamento di un tesoro, stampa

«Compare, ricchi siamo!»

«Sì, ma come facciamo per portarli a casa? Sono tanti e pesanti».

«Ci serve una bestia da soma».

«Ben detto compare. Sapete che facciamo? Voi andate in paese e ve la fate prestare da qualche conoscente, mentre io resto a guardia dei marenghi».

Ma l’altro compare non voleva andarci. Mica era scemo: “questo vuol farmi fesso, mentre io vado in cerca della soma lui si frega il tesoro; eh no!”

«Andiamoci insieme a cercare le bestie; che solo qui non vi voglio lasciare, non sappiamo cosa vi può succedere! Ecco, nascondiamo coprendola con la terra la truvatura e ci andiamo insieme a cercare un paio di robusti muli».

«Ma no, andate sicuro compare e non preoccupatevi per me, che io so quartiarmi che non sono nato ieri…»

E tira e molla, non si risolvevano chi dovesse andare in paese e chi restare, sospettando ognuno dell’altro: che i soldi fanno venire la vista agli orbi ma accecano il cuore e inaridiscono l’animo. Dopo lunga discussione, infine uno dei due cedette: «E va be’, ci vado io».

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Veduta di Scicli. Disegno a inchiostro su carta, secolo XVIII. Biblioteca Ursino Recupero di Catania. Foto Luigi Nifosì

In paese procurò due viestie e come si fece mattino ritornò in campagna.

«Ecco le bestie compare. Ma prima di cominciare a caricare, mangiamolo un boccone, che la comare, vostra moglie, me lo diede con tanto amore compreso il vino!» E così dicendo estrasse dalle bisacce una truscitedda e un fiasco di vino.

Ma il compare che era restato accanto al tesoro, alla vista del fiasco si mangiò la foglia: «Caro il mio compare, trafico c’è, quel tipo di fiasco non è roba di casa mia: questa non me la bevo» sogghigno tra sé e poi aprendo il viso a sorriso: «Va bene compare, ma prima carichiamo il malloppo. Mangeremo, subito dopo, con comodo!»

L’altro annuì.

Riempirono le bisacce delle bestie; e ci volle un bel po’ perché davvero erano tanti quei marenghi d’oro. Poi si posero a sedere uno di fronte all’altro per mangiare.

«Favorite, compare», fece quello che era rimasto a guardia del tesoro, tirando fuori cibo e vino.

«Grazie compare, ma io il mangiare me lo sono portato» e trasse fuori un altro fagotto col cibo e il vino, identico a quello che aveva dato al compare.

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Scicli, Santa Maria La Nova. Foto Giulio Lettica

Qui l’altro ebbe conferma dei suoi sospetti: «Ah. Tu vuoi farmi la pelle, dal momento che avrai di certo avvelenato il mio vino. Aspetta che ti sistemo!». E di colpo mentre mangiavano gettò lo sguardo sulle bestie: «Ma come l’avete legate le bisacce al basto? Guardate stanno cedendo!»

Quello si voltava guardingo – un occhio a Cristo e uno alla Madonna – replicando: «Ma che dite, se ho ben serrato le corde».

«Vi dico che son legate male e il basto sta cedendo» – continuò con voce sicura l’altro compare – «legatele bene prima che caschi tutto!»

Il compare a questo punto ci credette e andò verso uno dei muli per stringere le corde; lesto l’altro, in una fatta di croce, scambiò i fiaschi.

«Ma che date i numeri compare, che qui le corde sono tutte ben legate» fece piccato quello costretto ad alzarsi.

«Scusate compare, mi sa che mi hanno ingannato gli occhi. Avete ragione voi», replicò con finta affezione il primo compare.

E tornarono a magiare.

Quello che aveva scambiato i fiaschi offrì il proprio vino all’altro: «Favorite, cumpà!»

«Grazie, compare, ho il mio. Anzi, volete favorire voi?»

Favorite voi, favorisco io: ognuno bevve quello del proprio fiasco, convinto di aver gabbato l’altro.

Difatti, quello che aveva portato il cibo di colpo s’irrigidì: morto di cent’anni.

«E bravo il compare, avevi avvelenato il vino, ben ti sta!»

Ma manco finì di dirlo che pure lui fu morto stecchito. Il compare per maggiore sicurezza oltre al vino aveva avvelenato pure il cibo dell’amico.

Le bestie stettero ferme lì un bel pezzo, ma quando cominciarono a sentire i morsi della fame, si misero in cammino verso la stalla e la casa del padrone. Questi quando le vide presentarsi, con quel carico di marenghi d’oro, dapprima si meravigliò e spaventò poi con circospezione li fece sparire nascondendoli in casa. «Ora vediamo chi viene a reclamarli?!»

Ma chi doveva cercarli se quelli che li avevano scavati erano morti, poveri fessi.

Ed era tanto grande il tesoro, che questo fortunato e casuale proprietario destinò gran parte dei marenghi per un’opera di bene: fece costruire un grande ospedale e lo chiamò Busacca, che era il suo cognome.

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Scicli, colle San Matteo. Foto Giulio Lettica

 

Riferimenti bibliografici:

Giovanni Selvaggio, Cunti e leggende di casa nostra. Ragusa, Il Gattopardo, 1991.

Giuseppe Barone, L’oro di Busacca. Potere ricchezza e povertà a Scicli (sec. XVI-XX). Palermo, Sellerio, 1998.

Pietro Militello, L’eredità di Pietro di Lorenzo detto Busacca, Ragusa news, 2014.

Salvo Miccichè, Scicli onomastica e toponomastica, Scicli, Il giornale di Scicli, 2017.

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