di Giuseppe Cultrera
Strane persone gli artisti: almeno per la maggior parte dei popolani dei secoli andati che nell’estro e negli interessi “elevati” di costoro non faticavano molto a sentir puzza di bruciato. Specie se come Salvatore e Giuseppe Puccio, padre e figlio, fisiognomica e malevole dicerie certificavano l’assioma.
I Puccio furono bravi incisori e litografi, scultori e decoratori, e operarono a Chiaramonte tra inizio ottocento e primi del novecento. Il padre Salvatore e i figli Giuseppe, Bonaventura, Michelangelo e Raffaele, però, non riuscirono a raggiungere una minima agiatezza economica; anzi, nonostante una discreta mole di commesse e di lavoro, ebbero sodale alla loro tavola la fame.

E don Giuseppe sembrava rappresentarla fisicamente. Allampanato alto e avvolto, nell’età avanzata, in un nero mantello.
Si racconta che il barone Corrado Melfi, del quale don Giuseppe era fornitore di lavori grafici e amico, avesse un cane mastino, nero e terribilmente aggressivo, tanto che lo teneva nella villa di campagna di contrada Cicimia dove la famiglia passava l’estate. Era il terrore del vicinato e quando qualcuno giungeva in casa, il barone, o chi per lui, doveva trattenerlo o allontanarlo perché cercava di aggredire l’ospite. Ebbene, questo cerbero appena giungeva nella villa Giuseppe Puccio – per consegnare qualche lavoro o per incontrare il barone – guaendo e con la coda tra le gambe, andava a rincantucciarsi in un angolo. Non se ne faceva cruccio l’artista Puccio, anzi sembra che ci scherzasse su rievocando magari “il cavaliere dalla trista figura” don Chisciotte, oggetto anche lui di dileggio del volgo.

L’arguzia era abbondantemente presente, infatti, nei Puccio. Come quella volta che il padre dovette recarsi nel vicino paese per consegnare una scultura lignea, un “Cristo morente” snodabile da fissare e togliere dalla croce in occasione della Settimana Santa. Era inverno e don Salvatore Puccio, con gli accorgimenti del caso, caricò la scultura sull’asino fissandola bene al basto; e a piedi si avviò verso il vicino paese montano. Sulle alture dell’Arcibessi in contrada Maltempo, però, fu sorpreso da una violenta tempesta di neve e vento che lo accompagnò fin alle porte di Monterosso. Giunto in piazza, alcuni curiosi s’avvicinarono all’asino sul quale stava la scultura del “Cristo morente” e osservando la statua cominciarono a fare apprezzamenti sul lavoro. In particolare qualcuno evidenziava che il Cristo fosse troppo “murtascinu”.

Don Salvatore, che ancora non si era ripreso dal lungo e faticoso viaggio e che ben altro aveva visto durante il tragitto dal Maltempo (mai contrada ebbe denominazione più calzante!) a Monterosso, con volto atteggiato a stupore replicò: «Vi assicuro che quando sono partito da Chiaramonte era ancora vivo. Poi siamo incappati nella bufera di neve: è già molto che sono giunto vivo io!».

Illustrazione del banner: Giuseppe Puccio, “Antico costume chiaramontano”, litografia colorata a mano, 1908.
1 Comment
Anche gli aneddoti quando sono ben raccontati danno preziose informazioni che arricchiscono la vita della comunità. Complimenti.