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Gorgona, una storia di detenzione, lavoro e riscatto.

di Redazione

Ha senso leggere un volume di otto anni fa sul mondo carcerario? La risposta è sì. Appena sfogli le prime pagine di ‘Ne vale la pena’, perdonate, ma non è un gioco di parole, si è letteralmente catturati dalla prefazione.

Protagonista narrante è Carlo Mazzerbo, il direttore della casa circondariale dell’isola di Gorgona, la più piccola dell’arcipelago toscano, che sarebbe riduttivo non definire un grande uomo. Un funzionario dello Stato, attento e misurato, che onora la sua professione, come la lunga schiera di impiegati spesso dimenticati da noi cittadini.

Carlo Mazzerbo

Secondo gli ultimi dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aggiornati al 31 gennaio 2021, nelle carceri italiane ci sono 53.329 detenuti contro una capienza regolamentare degli istituti di 50.551 posti. In calo gli stranieri: sono 17.291. 2.250 le donne.

In Italia, al 30-6-2020 la popolazione carceraria che lavora ammonta 15.043. Il resto passa quasi 18 ore al giorno in cella, senza alcuna occupazione. Ma per più di quindici anni una piccola isola in mezzo al Tirreno è riuscita a essere un vero e proprio modello, nella piena osservanza del testo costituzionale.

L’isola di Gorgona, nel mar Tirreno

Carlo Mazzerbo racconta in prima persona il suo periodo di direzione del penitenziario di Gorgona, la sfida difficile ma possibile di recuperare i detenuti attraverso il lavoro, dando loro un futuro fuori dal carcere.

In quei due chilometri quadrati a diciotto miglia marine dalla costa, è riuscito ad applicare l’articolo 27: ‘Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato’. Dettato disatteso in molti istituti di pena, nonostante le sentenze della Corte di Strasburgo e le ripetute denunce dell’ex Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Carlo racconta come sia riuscito a far rompere ai detenuti l’emarginazione con la pesca, l’acquacoltura, l’agricoltura e l’allevamento, favorendo attività economiche e legami impensabili. Poliziotti e reclusi hanno studiato insieme per la licenza media, hanno formato una band musicale e un armo di canottaggio. Una vicenda di successi esaltanti, ma anche di cocenti sconfitte.

La domanda che segna tutto il percorso – fin dal 1984, quando Mazzerbo dalla sua Catania decise insieme all’amico Carmelo Cantone, che per dodici anni ha diretto Rebibbia, di tentare il concorso per diventare ‘vicedirettore delle patrie galere’- è unica: “Che me ne faccio di un buon detenuto se poi torna ad essere un pessimo cittadino?”. Cosi si dipana un percorso narrativo, che scorre via con piacevolezza e tante emozioni, grazie alla solida scrittura di Catalano, giornalista di razza con un passato a Paese Sera, L’Occhio, La Gazzetta dello Sport, Il Messaggero e il Corriere della Sera.

La storia racconta le varie avventure o disavventure che il direttore ha vissuto in prima persona. Ed è così che si sviluppa questo racconto biografico, che grazie alla sincerità della testimonianza, capace di affrontare anche gli eventi più drammatici (dal suicidio del giovane detenuto Oscar, ai due omicidi che hanno infranto il mito di Gorgona come esempio di regime detentivo ideale), non si fa mai agiografico.

Non mancano gli episodi comici (come il piano di evasione sventato a Patti in collaborazione con un ‘dirigente della polizia di Stato fanatico’) e le frecciatine alle istituzioni. Una su tutte: ‘Siamo idealisti frenati dal lassismo, dalla burocrazia tutta italiana’. Mazzerbo, da due anni è direttore della Casa circondariale di Livorno, non si risparmia e punta il dito verso le carceri dove ‘è stata buttata la chiave’ e dove ‘ai detenuti, a certi detenuti, non spetta nulla più del vitto e dell’alloggio’ perché ‘la legge è cambiata ma bisogna cambiare la mentalità di chi la applica’.

E in questo libro, che a tratti si trasforma in un mea culpa collettivo, si capisce che ‘l’isolamento ti porta a pensare: o ti suicidi o ti rimbocchi le maniche, rimetti in discussione te stesso, le tue convinzioni, i tuoi errori’. E con ‘Ne vale la pena’ l’autore non traccia soltanto il profilo dell’isola di Gorgona e del suo penitenziario, non racconta esclusivamente un pezzo della storia carceraria italiana attraverso uno dei modelli più virtuosi, ma mostra con un quadro preciso, a tratti toccante, come sia possibile applicare i propri ideali ogni giorno.

Ci sono poi i quadretti iconici, ma per niente edulcorati che fanno da corollario e a volte da precipuo supporto al plot narrativo. Un detenuto che scappa senza lasciare alcuna traccia dietro di sé. Un carcerato che, pur avendo scontato la pena, decide di trattenersi altri tre giorni per terminare il lavoro di amministrazione che gli era stato assegnato.

Carlo Mazzerbo insieme al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

E poi: un telegiornale trasmesso su Telegranducato dal nome evocativo, TG Galeotto, per abbattere la distanza che segna il confine fra Gorgona e il resto della Toscana, una piccola impresa di acquacoltura che porta i pesci allevati sull’isola nelle pescherie e nelle Coop toscane, la natura incontaminata, i tramonti, gli ideali, un’isola che fa di tutto per essere autosufficiente, un’isola che prova con difficoltà ad aprirsi al mondo, la voglia di fare bene del suo giovane direttore. Un direttore che girava per l’isola con la copia de ‘Il manifesto’, ma in realtà è stato lui a redigere un manifesto per un carcere più umano.

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