ovvero
Breaking Bad al femminile
di Giulia Cultrera
Il bello di Ozark è che gioca a carte scoperte fin da subito. Anche troppo scoperte, se si considerano gli spoiler senza contesto mostrati all’inizio di ogni episodio.
La famiglia Byrde, infatti, scopre immediatamente gli affari illeciti di Marty e diventa parte integrante dell’attività criminale per conto del cartello messicano. Non che avessero molte alternative, ma è innegabile che avere moglie e figli dalla propria parte sia fondamentale in queste situazioni.
Tuttavia, Breaking Bad ci insegna che quando le mogli entrano nel business del riciclaggio, iniziano i veri guai. Anche se qui si invertono le parti: Wendy Byrde diventa il Walter White della situazione, prendendoci gusto e non riuscendo più a fermarsi.
E questo vale per tutte le figure femminili della serie. Sono le donne a reggere il gioco, e lo fanno brillantemente. Sono astute, calcolatrici, delle indomabili leader.
Il problema è che sono anche dannatamente folli, impulsive e imprevedibili. Prendono decisioni avventate e non si preoccupano delle conseguenze – disastrose e mortali – delle loro azioni.
È così che arriviamo alla fine della seconda stagione di Ozark con il cast originale già praticamente decimato.
Il timore delle prime stagioni di Wendy e Ruth lascia il passo all’adrenalina: si punta ai piani alti del cartello, per non fare la fine di tutti quelli che non ce l’hanno fatta e sono stati eliminati.
Ed è lì che leghiamo maggiormente con il personaggio – pur essendo un antieroe – perché conosciamo le regole del gioco, ormai ci siamo dentro e non esistono più valori e limiti. Vogliamo soltanto che tutto si concluda al meglio per i protagonisti. Perché i colpi di testa, le imprudenze e le impulsività ingarbugliano la situazione.
Fortunatamente, i coniugi Byrde – a volte collaborando, principalmente agendo una alle spalle dell’altro – riescono sempre a trovare una via di uscita. Anche se le circostanze si complicano ogni volta di più. E la faccia rassegnata di Marty, quando si ritrova dinanzi all’ennesimo problema da risolvere, è una costante.
I toni cupi e freddi sono un’altra costante, costringendoci a vedere la serie necessariamente al buio. Fortunatamente, non sarà mai ai livelli della battaglia de Il trono di spade, ma i creatori di Ozark non scherzano neanche in quanto a scarsa luminosità delle scene.
Un’atmosfera che contraddistingue lo show sin dalle prime battute: le luci, la musica, il ritmo lento che si bilancia con quello adrenalinico, la recitazione. Tutto è studiato nel dettaglio, per restituire scene cariche di tensione, dramma e attesa. Fino all’episodio finale, che lascia interdetti, ha dei risvolti inaspettati e in parte temuti. Sicuramente inevitabili.
Perché è impossibile chiudere completamente il cerchio. E, in fondo, dopo tutto quello che è successo, è davvero una prospettiva realizzabile?