di Lino Di Tommaso
Nato in una famiglia di assistenti e restauratori archeologici, Lino Di Tommaso ha cominciato la sua carriera giornalistica nel 1985 per la sezione di Cultura e Spettacoli della Gazzetta di Siracusa. Dopo le esperienze televisive con Telemarte Augusta e Teleuno-Tris Siracusa, ha collaborato con la Gazzetta del Sud per ventidue anni, scrivendo per la Cronaca di Siracusa. Dal 2015 al 2018 è stato giornalista de La Sicilia. Oggi, è tra i collaboratori del quotidiano online Il Siracusano.
Raccontare una storia che riguarda la propria famiglia è sempre un esercizio difficile anche se per certi versi esaltante; credo però che alcuni degli avvenimenti che racconterò potranno destare curiosità nel lettore interessato a fare un tuffo nel passato. In questo caso gli avvenimenti raccontati parlano del mondo ibleo.
La Soprintendenza alle Antichità della Sicilia orientale con sede a Siracusa presso il Museo archeologico in Piazza Duomo comprendeva le province di Siracusa, Ragusa, Enna, Caltanissetta, Catania e Messina.

Ai primi del Novecento, sotto la direzione del senatore Paolo Orsi c’erano tre figure professionali di grande rilevanza: archeologi, assistenti tecnici agli scavi e restauratori del materiale ritrovato. Parliamo di poche decine di pionieri, non delle strutture che sono state attivate a partire dagli anni Settanta sotto la direzione del Ministero dei Beni Culturali. In quegli anni eroici gli studiosi-archeologi erano spesso dei nobili, appassionati; questi incarichi non venivano retribuiti perché i fondi a disposizione di quello che all’epoca era un settore del Ministero della Pubblica Istruzione, erano molto limitati.
Per le altre due categorie coinvolte, assistenti e restauratori, nella ricerca archeologica c’era il cosiddetto rapporto fiduciario, cioè gli archeologici si rivolgevano a persone di fiducia istruendoli nel lavoro. Il materiale ritrovato era prezioso per gli studiosi. ma in qualche caso era fonte di pericolo perché gli operai e i manovali impegnati nello scavo erano propensi a pensare che dentro una statuina o un’anfora ci fossero dei preziosi come ori o monete. «La prima cosa da evitare − raccontava mio padre − era di avvertire i carabinieri quando erano in zona per sorvegliare lo scavo, senza i carabinieri erano gli assistenti tecnici a dovere fare i turni di guardia per evitare la sparizione dei reperti trovati».

Quindi gli assistenti tecnici, mio nonno ad inizio del secolo scorso, mio padre e suo fratello successivamente, dovevano essere di comprovata fiducia. Il senatore Paolo Orsi, soprintendente per la Sicilia orientale, aveva almeno tre famiglie siracusane di “fiducia” su cui contare.
La storia della mia famiglia ha inizio fra gli la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento. Mio nonno Pasqualino Di Tommaso cominciò a lavorare come operario degli scavi con il senatore Orsi, diventò poi assistente tecnico promosso sul campo, ma soprattutto uomo di fiducia del senatore Orsi tant’è che lo seguì, non solo nei vari scavi siciliani, ma anche in quelli realizzati in Libia e Turchia dal celebre archeologo.
Chi poteva affiancare il senatore Orsi nel suo scorrazzare, nonostante l’età avanzata, nell’altipiano ibleo sul finire degli anni Venti? Mio padre, naturalmente. Mi ha raccontato che il senatore dormiva nelle grotte per essere sul luogo di ricerca all’alba, il più presto possibile per non perdere tempo inefficacemente. Questi studi e ritrovamenti furono fatti in particolare a Cava d’Ispica.

Mio padre, fu scelto proprio per quel rapporto di fiducia che c’era con la nostra famiglia; seguì, dunque, la stessa strada di mio nonno e diventò assistente tecnico, differenziandosi però da lui che si era dedicato al restauro. Nel 1953 mio padre vinse il concorso nazionale per restauratori classificandosi quinto, rifiutò le proposte di trasferirsi a Roma e Firenze per non lasciare la sua amata Sicilia.
In quegli anni mio padre partecipò alla nascita del museo di Gela, insieme al fratello Francesco, per lavorare alla fine degli anni Cinquanta a quello di Ragusa. Le sue “missioni” di lavoro lontane da Siracusa divennero continue e si protraevano per mesi, così con mia madre ed i miei fratelli prendevamo l’autobus e il treno per raggiungerlo per qualche fine settimana.
Un episodio curioso mi coinvolse in prima persona a Ragusa. Un fine settimana andammo a trovarlo con mia madre. Passeggiavamo per le vie di Ragusa, ed ero al colmo della felicità per avere i genitori tutti per me, quando ho sbattuto la faccia contro una cassetta della posta; quelle rosse che servivano a raccogliere le lettere. Il forte impatto, avevo la testa girata verso la strada, mi fece finire a terra e vedere….. le stelle.

Questa disavventura segnò profondamente il mio rapporto con la città iblea. Andai a trovare successivamente mio padre a Catania, dove era impegnato negli scavi di piazza Stesicoro, del teatro greco e del museo archeologico. I nostri weekend “archeologici” continuarono anche ad Aidone per via degli scavi e a Morgantina per la nascita del museo, ma a Ragusa non tornai più per diversi anni.