Il secondo articolo del capitolo “Chiaramonte 2030” verte sullo sviluppo urbano del nostro territorio. Il problema è qui trattato negli aspetti generali politico-sociali che nei dettagli più tecnici, a loro volta oggetto di approfondimento nel prossimo articolo.
di Salvatore Cascone
Dietro un Piano Regolatore Generale, cioè lo strumento di pianificazione urbanistica che regola l’attività edilizia del territorio comunale, esistono argomentazioni ‘profonde’ e specifiche per meglio definirlo e spiegarlo.
Parlerò sommariamente, quindi, di economia, di sociologia, di ecologia, di giurisprudenza, di sviluppo, di anatomia e di disegno. E vedremo come queste tematiche si intrecciano tra loro e come si condizionano a vicenda.
Tra gli atti che un’Amministrazione deve compiere, la redazione e l’adozione del P.R.G. è probabilmente quella che ha un impatto maggiore sulla vita dei cittadini, e risulta discriminante tra buona e cattiva pianificazione.
Pensiamo, ad esempio, alla progettazione delle periferie negli anni ’60. Su questo fronte si sono giocate partite politiche infuocate, che hanno creato enormi ricchezze economiche, speculazioni edilizie epocali e clamorosi ‘abbandoni’ di aree più confacenti alla programmazione urbanistica.
Spesso, in urbanistica, ci si è rivolti all’utilizzo delle ‘metafore’ per descrivere meglio la materia ed il risultato progettuale a cui si tende. Penso alla metafora del ‘corpo umano’ o dell’’organismo’, alla metafora del ‘tessuto’ o quella del ‘viaggio’. Ognuna di queste sottende un aspetto della pianificazione su cui focalizzarsi per ottenere il risultato finale auspicato o auspicabile.
D’altronde è probabilmente vero che ‘bisogna partire da una metafora per giungere ad un’algebra’ come asseriva il filosofo americano Max Black.
L’urbanista, quindi, non sarebbe solo un semplice ‘disegnatore’ di strade e di isolati, ma un pensatore sociale ed un economista, con l’occhio rivolto soltanto agli interessi del territorio e della comunità che lo abita. Perché un tratto di penna può rendere ricco un individuo e danneggiare un’intera città.
Politiche urbanistiche scellerate hanno causato lo spopolamento dei centri storici a tutto vantaggio degli ampliamenti nelle periferie più esterne delle città, rivalutando economicamente zone a basso valore economico e svalutando le aree man mano abbandonate. Queste politiche hanno sovente peggiorato la qualità della vita originaria delle città, depauperato il valore economico di interi quartieri, creato immense ricchezze e fatto aumentare il costo sociale dell’ampliamento realizzato.
Pensiamo alle infrastrutture necessarie per il collegamento dei nuovi quartieri col cuore pulsante della città, alla successiva manutenzione degli stessi, al consumo del suolo, alla cementificazione ed alle spese aggiuntive necessarie per il trasporto pubblico.
Nel prossimo articolo approfondirò gli aspetti più tecnici e le normative di riferimento che in questi giorni, peraltro, hanno subito importanti modifiche.
Salvatore Cascone, 55 anni, Architetto. Si è laureato al Politecnico di Milano con tesi sul ‘Parco archeologico di Kamarina’. Attualmente è titolare dell’omonimo studio a Ragusa.
2 Comments
Speriamo che questo tuo articolo sia il primo di una lunga serie sull’argomento
Caro Salvo, come tu dici l’urbanista, oltre ad “essere ‘disegnatore’ di strade e di isolati, pensatore sociale, economista”, secondo me deve essere anche un paesaggista e, perché no, un artista. Tutti ruoli difficilmente concentrabili in un solo individuo, per cui la pianificazione deve essere necessariamente un gioco di squadra, di competenze diverse, di sensibilità diverse. Ma tutti devono essere accumunate dal buon senso, dalla rettitudine morale ed etica e quindi dall’assenza di qualsiasi tipo di conflitto d’interesse. Perché quando si disegna una linea di uno strumento urbanistico, si stanno decidendo le sorti di chi sta al di qua e di chi sta al di là della linea stessa.
Chiaramonte, come molti centri (tutti o quasi?), ha subito lo stravolgimento degli anni 60/70, gli anni del boom economico, gli anni della pianificazione senza regole, e ci si è trovati ad avere un tessuto urbano periferico diverso da quello che era stato negli anni precedenti, ci troviamo con uno skyline che non è il massimo della bellezza. Si provi a vedere il paesaggio cittadino da valle e da monte… da valle troviamo i palazzi degli anni 60/70/80, caratterizzate da forme geometriche ripetitive e monotone, rifiniture non adeguate (e a volte inesistenti), paesaggio tipico di qualsiasi periferia con la differenza che rappresenta il biglietto da visita per chi procede verso il centro storico “arrampicandosi” sulla collina. Da monte, viceversa, provenendo da Ragusa, a meno di qualche nota stonata, si può notare la bellezza originaria del nucleo storico. Occorre, a mio avviso, tenere in debita considerazione l’aspetto paesaggistico, che è comunque migliorabile.