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di Chiara Ottaviano

Quando si dice che un popolo “ricorda”, ha “memoria”, in realtà si sta affermando che un passato è stato attivamente trasmesso dalla generazione precedente alla generazione presente e che quella trasmissione è stata accettata perché dotata di senso. Se quella memoria non è trasmessa o a essa non viene riconosciuto senso, semplicemente quella memoria non esiste.


E’ per questo importante capire quali significati e quali simboli hanno accompagnato l’erezione di un monumento, un atto fra i più significativi nella costruzione della cosiddetta “memoria collettiva”. E’ possibile, poi, che quei simboli vengano diversamente interpretati e vissuti dalla comunità rispetto alle intenzioni originarie e la risemantizzazione, ovvero l’attribuzione di nuovi significati, è a volte l’esito di progetti culturali meditati e ambiziosi.

Murales di Ligama. Fabbrica A. Ancione. Foto V. Cascone

Un caso esemplare di risemantizzazione è il monumento a “i piciaruoli” nel cimitero di Ragusa. La comunità dei piciaruoli non esiste più da tempo e la tomba monumentale costruita agli inizi del ‘900 dalla Società di Mutuo soccorso Limmer United Limited, costituita dai lavoratori della miniera d’asfalto, sta letteralmente andando a pezzi nell’incuria generale.

Ho citato il fatto, denunciato e documentato da Gianni Iurato, figlio e nipote di piciaruoli, in una relazione dedicata ai Monumenti commemorativi e della memoria collettiva nel Convegno Internazionale “I Cimiteri nella società multiculturale” (Torino 23 aprile 2019) e recentemente ne ho parlato con Vincenzo Cascone, direttore artistico di Festiwall Ragusa, impegnato nel progetto Bitume nell’area simbolo della deindustrializzazione ragusana, la Fabbrica A. Ancione.

Tomba dei “Piciaruoli” al cimitero di Ragusa. Foto G.Iurato

Per Vincenzo, che ne scrive sulla sua pagina fb, nella reinterpretazione dell’artista Ligama, le corde e i tubi innocenti che sorreggono la statua in disfacimento sono le catene che imprigionano il lavoratore e il frammento del piede della statua riproposto in grandi dimensioni “è la nostra stessa memoria, il residuo da cui poter ricostruire ciò che eravamo, ciò che siamo”.

Murales come questi sembrano riproporre una delle funzioni pedagogiche più antiche e classiche dell’arte figurativa, quella che ha impreziosito chiese e palazzi pubblici: raccontare per immagini la storia passata (sacra e profana), creare una “memoria” comune condivisa dalla più larga collettività.

Chiara Ottaviano, pioniera in Italia nel campo della public history, ha insegnato al Politecnico  di Torino e nelle Università di Torino e Vercelli. È fra i fondatori dell’Associazione Italiana di Public History. Ha prodotto Terramatta, il film che ha fatto conoscere nel mondo Vincenzo Rabito. Ha ideato e realizzato l’Archivio degli Iblei.

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