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di Letizia Dimartino

Tutte le epoche hanno avuto un loro modo, un senso preciso. Una atmosfera. Una storia, certo. Mia nonna raccontava del terremoto di Messina vissuto da lei con terrore ma anche con tenerezza di bimba. E poi gli anni trenta, eleganti e folli, e riempiva i miei pomeriggi con le sue nostalgie e le foto originali. Poi mia madre che parlava della sua gioventù con entusiasmo e felicità anche se fu in tempo di guerra! Le erano rimaste solo le immagini belle di quel periodo, e metteva entusiasmo e ricchezza di particolari ogni qual volta, e cioè spesso, diceva nei nostri lunghi viaggi in treno e sempre nei suoi giorni malati e non.

Anni ’30 (foto stilemillelire.com)

E adesso faccio anche io, ascoltando le canzoni degli anni ‘50 e ‘60 e tutta la loro bellezza ritorna in me, gli odori e i pensieri e le piccole sofferenze e l’Italia attraversata in Giulietta mentre tutto rinasceva e ce ne accorgevamo, gli alberghi, le chiese con i crocifissi lignei nelle città antiche risorte, e anche i piaceri, le estati libere e gli inverni scuri. E Londra da sognare con i “movimenti” giovanili e lo scombussolamento della società che avveniva piano piano.

E poi gli anni ‘70, nel pieno della gioventù, quasi dimenticando il “piombo” di quel decennio, ma rivivendo le canzoni e le notti, i baci, gli abiti e i primi trucchi degli occhi, e gli sguardi allo specchio e i viaggi per l’Italia in ferrovia e gli ospedali e i medici belli e vicini e pure distanti, le piazze e le stazioni, le bombe e le strade con la polizia e noi che correvamo in una Milano dal Duomo ancora grigio e poi ridevamo liberi. E vivevamo lo stesso. Le vetrine oscurate e gli abiti irriverenti. E votavamo ai referendum senza più sentirci in colpa. E la leggerezza era dentro. E così l’amore. E il lavoro che non fu facile.

E poi gli anni ‘80 che ci fecero spendere con leggerezza, e cantare, gli acquisti importanti, le case, l’essere madre, l’essere già ammalata in una Ginevra splendente di luglio per cercare un benessere che non poté arrivare mai. Quel che mi fu rubato per sempre. Quel che non ho dimenticato. Più. Più.

Marina di Ragusa anni ’80 (Archivio Pietro Murè)

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