di Vito Castagna
CANTO XII (parte prima)
Scendemmo lungo una scarpata scoscesa, una frana ormai salda nel suo equilibrio precario. Ed infatti, ad ogni mio passo, le rocce fremevano sotto i calzari e alcune ruzzolavano rumorosamente verso il fondo cupo. Temevo di poter precipitare, per colpa di un sasso o della debolezza delle mie gambe ma, quando trovavo una base salda, volgevo lo sguardo verso Virgilio che, come un daino, scendeva lesto. La sua agilità mi infondeva una strana sicurezza e la tenacia per poter andare avanti.
Ad un tratto, durante la discesa, le parole di Cavalcanti mi tornarono alla mente. Perché esitai a rispondere quando mi chiese se suo figlio Guido fosse vivo? Forse furono le parole di Farinata a scuotermi ma non saprei dirlo con certezza. Se solo Cavalcante dei Cavalcanti mi avesse dato il tempo di dissipare i mostri di Montaperti dalla mia testa. Se solo avesse atteso un’istante, prima di affondare nuovamente tra le fiamme del suo sepolcro, avrei potuto dirgli che il figlio non era morto come egli, invece, aveva dedotto dal mio silenzio. Ora non sarebbe disperato e io non porterei questo peso nel cuore.
Non era soltanto il dolore recato ad un padre a darmi spiacere; la profezia di Farinata degli Uberti era un presagio nefasto. A suo dire, tra soli quattro anni, sarò esiliato dalla mia Firenze. Forse, mentiva per rispondermi a tono, o almeno lo spero… Di colpo, scorsi qualcosa tra i sassi, una figura animalesca distesa sull’antico pietrame.
Quando fui più vicino la riconobbi. Il Minotauro, la vergogna di Creta, nato da una donna e da un toro, si issò sui suoi arti e, alla nostra vista, corrotto dall’ira, cominciò a mordersi le membra. Virgilio allora gli gridò: «Forse credi che con noi viaggi Teseo, colui che ti diede la morte? Vai via, bestia! Costui non venne guidato da Arianna, tua sorella, ma è qui per vedere i vostri tormenti!».
Il mostro venne stordito da quelle parole, come il toro che colpito a morte barcolla prima di stramazzare al suolo. Solo allora, la mia guida si rivolse a me indicandomi la via: «Corri, ora la bestia è attanagliata dalla propria furia; lì c’è il passaggio».
Lasciammo il mostro e i suoi muggiti alle nostre spalle. La via indicatami, purtroppo, era più impervia della precedente e ogni pietra si smuoveva al mio peso. Vedendomi pensieroso, Virgilio disse: «Forse ti starai chiedendo cosa ha generato questa frana, che era sorvegliata dal mostro che ho ammansito. Sappi che l’ultima volta che fui qui le rocce che vedi non erano crollate. Se ben ricordo, questo è accaduto prima che Cristo discendesse e portasse con sé i patriarchi del Primo cerchio. Quella volta tutto l’Inferno venne scosso da un terremoto, tanto violento che credetti che tutto l’universo precipitasse nel caos. Fu allora che si formò questa frana. Ma adesso guarda in fondo! Quello è il Flegetonte, il fiume di sangue nel quale ribollono i violenti».
Oh, cieca cupidigia, oh folle ira, che ci guidate nella breve vita terrena per poi farci gemere eternamente in queste acque! Sotto di noi vi era una delle anse del fiume che fendeva la pianura, così come mi aveva detto la mia guida, e tra i ciottoli e le rocce galoppavano dei centauri con gli archi in pugno e le faretre appese alla schiera, come se fossero a caccia.
Incuriositi dalla nostra venuta, si raggrupparono di fronte a noi, sbarrandoci la strada. Dopo, tre di loro si avvicinarono a noi, armati. Uno di loro gridò da lontano: «A quale tormento vi state recando, voi che scendete questo dirupo? Rispondete, se non volete essere colpiti dalle nostre frecce!».
Senza battere ciglio, Virgilio rispose: «Parleremo solo con Chirone, quando saremo più vicini. La tua impulsività ti si è rivoltata sempre contro, dovresti saperlo!». Poi mi chiamò a sé e mi disse: «Quello è Nesso, che morì nel tentativo di rapire la bella Deianira e che si vendicò di Ercole col suo stesso sangue. Quello in mezzo, che si guarda il petto, è il saggio Chirone, precettore di Achille; l’ultimo è Folo, che visse nell’ira. Questi centauri galoppano intorno al fiume e bersagliano le anime che tentano di fuggire dal sangue che ribolle».
Cautamente, con i dardi puntati contro il cuore, ci dirigemmo verso di loro.
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