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di Giuseppe Cultrera

Un racconto lungo quasi un secolo, con dentro le due guerre mondiali, la vicenda coloniale, la caduta del fascismo, il nuovo corso democratico, il boom economico e la crisi degli anni ’70: tutto visto attraverso gli occhi di un analfabeta, Vincenzo Rabito, soldato nelle trincee del Piave, operaio nelle colonie, fascista per necessità di vita ma socialista per vocazione, che alfine approda nella sua Chiaramonte dove ottiene il posto di cantoniere e l’agognato benessere seguito dal riscatto sociale, almeno per i figli.

Vincenzo Rabito (a sinistra) con il fratello Giovanni

Un romanzo esemplare ed epico, scritto nella lingua che Rabito è costretto a inventarsi, privo di approdi sintattici e semantici, ma originale e che va dritta al cuore del lettore. Si deve al figlio Giovanni, quello che Vincenzo Rabito chiama il figlio più lontano, andato via dalla terra natale per studiare a Bologna nel ’68, l’invio del dattiloscritto autobiografico a Pieve S. Stefano dove ha sede l’Archivio dei Diari fondato da Saverio Tutino; Giovanni, da un ventennio in Australia a Sidney dove faceva l’antiquario, aveva portato con se quel reperto paterno, ed aveva iniziato a farne una riduzione: quella appunto spedita nel 1999 al Premio Pieve – Banca Toscana.

pagina del memoriale dattiloscritto

I lettori della Commissione però richiedono l’originale. Quando arriva si cimentano in un’impresa titanica: oltre mille pagine dattiloscritte fittamente riempite senza margini e prive di punteggiature, se si esclude il punto e virgola usato quale spaziatura.

È una sorpresa per tutti. Scriverà Tutino “Dopo 16 anni credevamo di aver visto tutto di questa originale esperienza. Finchè davanti alla commissione di lettura è arrivato lo scritto monumentale di un siciliano che si chiamava Rabito di cognome e Vincenzo di nome. Ed è successo di tutto.”

Vincenzo Rabito con la moglie Vita (Nedda) Cusumano

La giuria decide di premiare l’autobiografia del cantoniere ragusano con il massimo riconoscimento e Beppe Del Colle, uno dei maggiori sostenitori del Rabito fra i giurati, fa inserire nella motivazione del premio la provocazione ‘il capolavoro che non leggerete!’
L’archivio raccoglie la sfida, e grazie a finanziamenti di sponsor privati e pubblici, avvia la trascrizione del testo affidandola ad un giovane ricercatore, Luca Ricci.

Don Vincenzo accanto ad un pezzo di artiglieria della Grande Guerra

La ricerca di un editore è dapprima difficile, ma nel 2003 si approda alla prestigiosa Einaudi. A volerne la pubblicazione è Paola Gallo, che dirige il settore narrativa; per la cura editoriale affianca Ricci una scrittrice siciliana, Evelina Santangelo.
Nel marzo 2007 esce nelle librerie Terra matta una versione ridotta del manoscritto, che rispettando l’originalità della lingua e scrittura del Rabito riesce in 22 capitoli a trasmetterne anche ampiezza e ritmo narrativo.

La copia di Terra Matta del prof. Saverio Senni

È, per molti versi, un caso letterario: il consenso e l’attenzione della critica e del pubblico sarà unanime. Quello che sembrava destinato a pochi appassionati attrae lettori comuni e studiosi: negli anni successivi il volume vede una fortunata riduzione teatrale di Vincenzo Pirrotta, una pièce di Stefano Panzeri e una versione cinematografica a cura di Costanza Quatriglio, in concorso al 69° Festival di Venezia. Ed ancora, l’edizione economica, che affiancava quella rilegata nei Supercoralli, destinata a prolungarne la vita e collocarlo, di fatto, tra i classici della letteratura italiana.
Adesso – come suole dire Tano, un altro dei tre figli – Terramatta cammina con le sue gambe“.

(da sinistra) Chiara Ottaviano, Costanza Quatriglio e Roberto Nobile

Ieri ricorreva il 40.mo della morte di Vincenzo Rabito. Ricordarlo invitando alla lettura – o rilettura – di Terra Matta è il modesto grazie di un suo compaesano. Perché don Vincenzo ha donato alla propria patria, attraverso questo capolavoro, notorietà o meglio con un termine in voga, ‘visibilità’ internazionale.

Vincenzo Pirrotta (a sinistra) insieme a Giovanni Rabito

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