di Vito Castagna
“Rapito” è l’ultimo film presentato da Marco Bellocchio al Festival di Cannes. Con questa pellicola il regista racconta il rapimento del bambino ebreo Edgardo Mortara, avvenuto a Bologna nel 1858 per volere di Pio IX.
Per comprendere questo gesto bisogna tornare indietro di sei anni, quando il piccolo era stato battezzato segretamente dalla domestica cattolica dei Mortara, col timore che spirasse in peccato mortale a causa di una febbre verminale.

Dopo sei anni vissuti sotto il tetto famigliare, Edgardo venne prelevato dalle guardie pontificie e portato a Roma in un collegio di catecumeni, dove ricevette un’educazione cattolica. La famiglia Mortara cercò di ottenere giustizia, mobilitò le comunità ebraiche dello Stato della Chiesa e montò un vero e proprio caso internazionale per riportare il bambino a casa.
La storia di questo rapimento non si discosta da quella di Aldo Moro, che tanto ha interessato Bellocchio. E quando si parla di rapimenti il regista mette in luce l’intransigenza delle parti e la loro incapacità nel raggiungere un compromesso, dettata dal contesto storico.
In “Rapito” il potere temporale della Chiesa è ormai giunto al suo atto conclusivo, l’Italia vive la sua tormentata unificazione e all’ultimo papa re, Pio IX, non resta che intraprendere una battaglia ideologica che non fa altro che screditarlo.

Come possiamo togliere a Dio ciò che Dio ha voluto a sé?, si chiede il pontefice, magistralmente interpretato da Paolo Pierobon. Se Edgardo è stato battezzato non può tornare tra coloro che hanno inchiodato Cristo alla croce. “Non possumus”, non possiamo, afferma Pio IX, così come non possono tutti quelli che vogliono prendere Roma. Eppure, la Città Eterna è destinata a cadere insieme al potere temporale dei papi.
L’analisi di Bellocchio è di primo acchito profondamente anticlericale, ma non si limita a questo. Il regista si arrovella sul senso della religione e criticando il dogmatismo, lascia spazio ai temi etici della salvezza e della bontà. Al contempo, rende manifesto quanto il potere domini sulle menti e sui corpi.
Così come il papa rivendica il possesso di un’anima per conto di Dio e crede di far del bene, la domestica battezza il piccolo in presunto punto di morte, per aprirgli le porte del Paradiso. Nessuno può sottrarsi al dominio della coscienza, nemmeno chi come Edgardo è una sua vittima, inconsapevole nella più tenera età e consapevole nell’età adulta.

E infine ci si chiede se il rapimento e la vita in collegio sia stata l’unica vita possibile per Edgardo, egli stesso dimostra di non avere una sola risposta, al contrario di quanto potremmo aspettarci.
“Rapito” gioca con questo dubbio senza imporre una risposta univoca. In fondo, ed è qui il vero turbamento, anche Cristo era un ebreo battezzato, così come il nostro Edgardo, anche se qui il libero arbitrio fa tutta la differenza del mondo.