di Simona Canzonieri
Gli occhi piacevolmente colpiti dal contrasto di bianco e nero che ricorda le cementine di una volta; il palato invaso da una sinfonia di sapori: cacao, arancia, mandorle tostate e marsala; la consistenza morbida e avvolgente e i grani di biscotti e mandorle che danno sazio masticoso alle mole. Il salame turco è un dolce sinesteticamente perfetto, che scalda il cuore e inonda il cervello di secchiate di serotonina.

Compare nell’elenco ministeriale dei prodotti agroalimentari tradizionali siciliani, ma in realtà non si trova facilmente nelle pasticcerie, è un dolce domestico: me lo ricordo alle feste di compleanno assieme ai panini tondi col salame e la vicina di casa lo tirava fuori dal freezer quando con mia madre andavamo a trovarla per il caffè delle tre.
Il salame turco è un dolce speciale anche perché ogni volta che lo nominiamo rievochiamo senza pensarci un pezzo di storia siciliana, quella legata alle incursioni dei corsari barbareschi nelle coste dell’isola, quando la Sicilia era assieme a tutto il Mediterraneo teatro di scontri tra l’Europa cristiana e gli arabi ottomani in espansione verso Occidente (XVI e XVII secolo).

I corsari barbareschi erano musulmani provenienti dalle dominazioni turche in Africa occidentale. Sulle navi corsare salivano allora berberi (africani che abitavano la costa mediterranea dalla Libia al Marocco) ma anche turchi e una piccola parte di cristiani rinnegati, quindi sostanzialmente europei. Questa mescolanza di etnie veniva indicata dal siciliano con l’appellativo generico di “turco”.

E siccome la maggioranza di loro aveva la pelle scura, tra i siciliani si è sedimentata nel tempo l’associazione tra turco e scuro di carnagione. Da allora l’aggettivo turco in Sicilia non significa affatto proveniente dalla Turchia ma è sinonimo di nero: una persona che ha preso troppo sole è diventata turca, una torta scordata in forno “vinni turca”, un salame che anziché rosso-rosa è nero diventa un salame turco.

I “turchi” arrivavano sulle coste siciliane all’improvviso e sconvolgevano la vita degli abitanti portando via di tutto: il cibo messo da parte per superare l’inverno, i bauli con le doti delle sposine e spesso e volentieri anche le stesse sposine. Da qui allora la meravigliosa espressione “mi sientu pigghiata re turchi”, che usiamo in Sicilia quando siamo confuse e agitate per qualcosa che ci ha preso alla sprovvista.

È importante però ricordare che i cristiani in quel periodo non furono solo vittime ma pure carnefici. Nel Mediterraneo scorrazzavano infatti anche pirati cristiani che compivano le stesse deplorevoli azioni di saccheggio e razzia sulle coste musulmane dell’Africa. L’apparizione di una vela col crocifisso in prossimità di queste coste provocava lo stesso identico terrore della comparsa di vele con la mezza luna sulle coste cristiane.

A voi la ricetta perfetta del salame turco siciliano:
100 grammi di cacao amaro in polvere
1 uovo
150 grammi di mandorle tostate tritate
100 grammi di biscotti secchi
1 bicchierino di Marsala
150 grammi di burro
250 grammi di zucchero
scorza di arancia grattugiata

Mescolate insieme gli ingredienti, formate un filoncino che avvolgerete nella carta forno o nell’alluminio, lasciate riposare in frigo per qualche ora, tagliate a fette, mordete e ringraziate la vita che vi dona momenti di piacere così intenso.